«La priorità deve essere quella di salvare vite umane ora – deve seguire la condanna mondiale delle sanzioni»

Intervista al Prof. Alfred de Zayas*

Zeit-Fragen: da molti anni Lei si oppone all’applicazione di sanzioni. Ora si sostiene che esse, nei Paesi dove sono applicate, risultano un notevole ostacolo alla lotta contro la pandemia del coronavirus. Lei che ne pensa?
Alfred de Zayas: Naturalmente, la guerra economica imperante contro Cuba, Nicaragua, Venezuela, Siria, Iran, Corea del Nord, come pure il blocco finanziario e le pesanti sanzioni economiche non rispettano la Carta delle Nazioni Unite, numerose altre convenzioni internazionali, in particolare, i trattati sui diritti umani come il Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici (PIDCP), il Patto internazionale relativo ai diritti economici, sociali e culturali (PIDESC), la Convenzione sui diritti dell’infanzia (CDI). Inoltre, essi violano pure il divieto di ingerenza negli affari interni di altri Stati previsto dal diritto internazionale e l’interdizione di interventi (che si applica non solo alle azioni militari, ma ugualmente alle guerre non convenzionali e ibride).
  
È stato dimostrato che le sanzioni uccidono – non solo le misure coercitive unilaterali, ma anche le irresponsabili sanzioni delle Nazioni Unite, come quelle contro l’Iraq nel 1991–2003, che hanno causato la morte di oltre un milione di iracheni, morti causate da malnutrizione, mancanza di accesso all’acqua potabile, ai medicinali, alle attrezzature mediche, ecc. Già nel 1995 l’Unicef aveva stimato che le sanzioni avevano causato la morte di circa 500’000 bambini iracheni – ma l’avvertimento è rimasto inascoltato, o peggio ancora, è stato respinto dagli onnipotenti Stati Uniti. Consultata sull’utilità di mantenere le sanzioni contro l’Iraq, nonostante la morte di tanti bambini, l’allora segretaria di Stato americano, Madeleine Albright, ha ri-sposto «sì» – come, d’altronde si può verificare da YouTube. Tuttavia, il coordinatore umanitario dell’ONU per l’Iraq 1996-1998, Denis Halliday, si è dimesso per protesta, definendo le sanzioni dell’ONU «una forma di genocidio». Anche il suo successore Hans Christof Graf von Sponeck (1998–2000) sempre per protesta, si è dimesso e ha scritto un libro sull’argomento intitolato «Ein anderer Krieg» (Un altro genere di guerra).
  
L’Assemblea generale ha adottato 27 risoluzioni che chiedono la revoca dell‘embargo statunitense contro Cuba, non solo perché è contrario al diritto internazionale, ma anche perché ha notevolmente indebolito le infrastrutture sanitarie cubane e reso quasi impossibile ottenere pezzi di ricambio per le apparecchiature mediche come Scans e apparecchi per le dialisi. In un rapporto del 2019, i professori Jeffrey Sachs e Mark Weisbrot hanno stimato che nel 2018, le sanzioni contro il Venezuela sono responsabili della morte di 40’000 venezuelani. Da allora la situazione ha continuato ad aggravarsi. Nel corso degli anni, le infrastrutture sanitarie di molti Paesi, colpiti dalle sanzioni, si sono indebolite, rendendole meno preparate ad affrontare la pandemia Covid-19.
  
Il 31 marzo 2020 il relatore speciale dell’ONU sul diritto all’alimentazione, professor Hilal Elver, ha chiesto l’immediata abolizione delle sanzioni in ragione della pandemia. Altri, come per esempio, il relatore sugli effetti negativi delle misure coercitive unilaterali, l’ambasciatore Idriss Jazairy, deceduto il 27 febbraio scorso, avevano già documentato la correlazione tra le sanzioni e le cause della mortalità. La relatrice subentrante, professoressa Alena Douha, il 2 aprile scorso si è espressa a favore della revoca di tali sanzioni ed è probabile che, a breve, essa pubblichi un rapporto sulla questione, ma il tempo stringe!
  
Il 1° aprile 2020 il governo cubano ha protestato contro il «blocco criminale» da parte degli Usa dopo che l’embargo statunitense aveva bloccato la consegna dei kit per il test Covid-19 e dei respiratori donati dal magnate dell’E-Commerce cinese Jack Ma, proprietario di Alibaba. Il presidente cubano Diaz-Canel ha reso noto per il tramite di Twitter: «Il blocco criminale del governo imperialista infrange i diritti umani del popolo cubano». L’inviato di Cuba a Pechino, Carlos Miguel Pereira, ha dichiarato che un’impresa privata americana è stata ingaggiata per fornire il materiale medico necessario alla lotta contro Covid-19. Tuttavia, «all’ultimo momento» la ditta si è rifiutata di effettuare la consegna. Secondo la Xinhua News Agency, l’impresa aveva esplicitamente invocato il rischio di essere penalizzata dal Dipartimento del Tesoro dell’ONU per aver violato la legge americana Helms-Burton Act del 1995.
  
Ancora una volta, bisogna ripeterlo: le sanzioni uccidono. La responsabilità civile e penale non coinvolge solamente gli Stati Uniti, ma anche di tutti gli altri Stati che hanno imposto o applicano sanzioni, come pure tutte le società private che mettono il profitto al disopra della vita umana.

In che misura l’ONU sostiene l’abolizione delle sanzioni?
Per quanto riguarda le sanzioni contro Cuba, l’Assemblea Generale ha ripetutamente chiesto la loro abolizione, ma gli Stati Uniti si considerano al di sopra del diritto internazionale e hanno imposto sanzioni illegali a Cuba per sei decenni. Finché non ci saranno conseguenze per l’economia americana, è improbabile che la situazione cambi. Ma, naturalmente, anche altri Paesi come il Canada, il Regno Unito e così via impongono sanzioni o applicano le sanzioni statunitensi contro Cuba, Venezuela, Iran e altri. Tutto questo in relazione all’applicazione extraterritoriale del diritto statunitense e dell’imposizione di penalità per «violazioni delle sanzioni».
  
Come abbiamo affermato in precedenza, la responsabilità civile e penale per l’imposizione o l’attuazione delle sanzioni spetta in primo luogo agli Stati Uniti, ma anche a tutti gli Stati che hanno imposto o concretizzato sanzioni.

Come si posiziona la comunità internazionale su questo tema? Come valuta a tal proposito il Rapporto sulla solidarietà internazionale?
La «comunità internazionale» non agisce in modo compatibile con la Carta dell’ONU e con l’obbligo di praticare la solidarietà internazionale. Già nel 2017 Virginia Dandan, esperta indipendente dell’ONU sui diritti umani e sulla solidarietà internazionale, ha pubblicato un progetto di proclamazione sul diritto alla solidarietà internazionale, al quale l’Assemblea Generale non ha comunque mai aderito. È giunta l’ora che il Segretario Generale ricordi al Consiglio di Sicurezza, all’Assemblea Generale e al Consiglio Economico e Sociale le loro rispettive responsabilità e s’impegni per l’adozione formale della proclamazione nonché per la sua concreta attuazione.

La settimana scorsa, l’Alta Commissaria per i diritti umani, Michelle Bachelet, ha chiesto un allentamento delle sanzioni allo scopo di combattere la pandemia e limitare in tal modo la sua diffusione globale. Quanto promettenti sono le sue richieste?
L’Alta Commissaria avrebbe dovuto condannare le sanzioni in funzione della loro diretta violazione dei diritti civili, culturali, economici, politici e sociali della popolazione interessata. Il predecessore di Bachelet, l’Alto Commissario Navi Pillay, aveva già condannato le misure coercitive unilaterali nel suo rapporto A/19/33 del 2012 chiedendone la soppressione. Un semplice allentamento delle sanzioni non è sufficiente. Esse si devono condannare tanto quanto dei crimini contro l’umanità. In tal senso non é possibile nessun compromesso giuridico e/o morale. Le sanzioni contravvengono i diritti umani e uccidono. Bachelet avrebbe dovuto chiedere la totale abolizione delle sanzioni e il versamento di risarcimenti alle vittime. Se il Segretario generale delle Nazioni Unite appoggiasse le richieste della signora Bachelet, sottomettendole con urgenza all’Assemblea generale, le richieste potrebbero ottenere soddisfazione.
   Ovviamente esiste il «problema dell’immagine» – la paura di «perdere la faccia». Stati Uniti, Canada e Unione Europea non amano perderla. Si autodefiniscono come «i buoni». Come tali imponendo sanzioni non possono sbagliarsi. Ciò richiederebbe un cambiamento di paradigma, riconoscere che anche «i buoni» hanno commesso e commettono ancora crimini contro l’umanità come la schiavitù, la tratta degli schiavi, il colonialismo, l’apartheid, ecc. Qui risiede un grosso ostacolo all’abolizione delle sanzioni – una cultura dell’«eccezionalità». Allo stesso tempo, non si può negare che molti negli Stati Uniti, in Canada e nell’Unione Europea riconoscono che le sanzioni sono illegali e criminali. Ciononostante, essi si rendono conto delle difficoltà insite nell’arrestare un treno in corsa, e di conseguenza i leader degli Stati Uniti, del Regno Unito e dei Paesi europei hanno sviluppato una sorta di solidarietà interna – lo stesso genere di solidarietà che osservano al loro interno i cartelli criminali – come, ad esempio, la mafia. D’altronde è imprescindibile riconoscere che nel mondo moderno l’«unilateralismo» non è più accettabile. Di fronte alla pandemia, solo la solidarietà internazionale e la cooperazione tra gli Stati possono rallentare e alla fine sconfiggere il nemico comune.

Per quanto riguarda la pandemia: sarebbe sufficiente come primo passo abolire le sanzioni sui medicinali e sulle attrezzature mediche? Qual’è l’importanza globale delle sanzioni per un paese colpito dalla pandemia?
È un primo passo necessario. Ma la solidarietà internazionale richiede anche che i paesi le cui infrastrutture sanitarie sono state sabotate dalle sanzioni beneficino di aiuti esterni. Tuttavia un vero aiuto umanitario, deve essere apolitico, senza condizioni e non deve partecipare a oscure strategie geopolitiche di «cambio di regime». La priorità deve essere data alla prevenzione di ulteriori infezioni e all’immediata assistenza medica, compresi gli apparecchi respiratori, per coloro che hanno contratto la malattia. La priorità deve essere quella di salvare vite umane ora – deve seguire la condanna mondiale delle sanzioni e dei Paesi che le impongono.

Quale ruolo può svolgere la Svizzera nell’abolizione delle sanzioni?
«Calamitas virtutis occasio». (Seneca. «De Providentia», 4,6) Una catastrofe è un’occasione per dar prova di virtù, di solidarietà e di etica.
  
La Svizzera ha una tradizione di neutralità e un’apprezzabile esperienza nell’ambito della mediazione. Indubbiamente, la Svizzera potrebbe assumere l’iniziativa, chiedendo pubblicamente la revoca delle sanzioni e offrendo i suoi buoni uffici per raggiungere soluzioni pacifiche tra i Paesi che impongono sanzioni e quelli che le subiscono. La Svizzera ha una buona reputazione di onesta negoziatrice e dovrebbe avvicinarsi con discrezione al governo degli Stati Uniti e cercare di negoziare con i governi di Cuba, Nicaragua, Venezuela, Iran, Siria, Corea del Nord, ecc., allo scopo di raggiungere un accordo rispettoso della Carta delle Nazioni Unite e del diritto internazionale.

Ora, secondo voi, cosa è più importante?
Il mondo post-pandemia dovrebbe essere un mondo di solidarietà internazionale – senza misure coercitive unilaterali. È il momento giusto per la comunità internazionale di riaffermare i principi del multilateralismo contenuti nella Carta delle Nazioni Unite e di esigere che le misure coercitive unilaterali, causa di morte e sofferenza, siano condannate dalla Corte penale internazionale (CPI) come crimini contro l’umanità. Un’inchiesta è attualmente in corso di fronte alla CPI a seguito della presentazione del dossier che il mini-stro degli Esteri del Venezuela, Jorge Arreaza, lo scorso 13 febbraio, ha sottoposto alla procuratrice capo della CPI, Fatou Bensouda, ai sensi dell’articolo 14 dello Statuto della CPI. Arreaza lo ha annunciato nel suo discorso al Consiglio per i diritti umani dell’Onu del 24 febbraio 2020. Ero presente quando Arreaza ha fatto riferimento anche al mio rapporto ONU A/HRC/39/47/Add. Sono convinto che le sanzioni statunitensi contro il Venezuela siano un «crimine contro l’umanità» ai sensi dell’articolo 7 dello Statuto della CPI.
  
Nel frattempo, sarebbe importante acquisire prove empiriche precise relative alla correlazione tra le sanzioni e i decessi, e tra le sanzioni e Covid-19. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) potrebbe istituire un gruppo di lavoro allo scopo di indagare sulla questione e divulgare, senza tergiversare, un rapporto in tal senso. L’Unicef, a sua volta, potrebbe eseguire una stima del numero di bambini morti a causa delle sanzioni e del numero di persone suscettibili di morte a causa dell’incapacità degli Stati di affrontare la pandemia. Analogamente l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura dovrebbe elaborare uno studio relativo all’impatto negativo delle sanzioni sull’agricoltura e sull’alimentazione nei paesi colpiti.
  
Per l’Assemblea generale è giunto il momento di adottare una risoluzione ai sensi dell’articolo 96 della Carta delle Nazioni Unite allo scopo di sottoporre all’esame della Corte internazionale di giustizia tutte le que-stioni giuridiche e chiedere con urgenza un parere su:

  1. l’illegalità delle misure coercitive unilaterali,
  2. la violazioni del regime dei trattati internazionali sui diritti umani, tra cui il PIDCP, il PIDESC e la CDE,
  3. le conseguenze del mantenimento dei regimi delle sanzioni unilaterali,
  4. la responsabilità civile e penale degli Stati e dei politici direttamente coinvolti nell’imposizione e nell‘attuazione delle sanzioni.

E’ evidente che se si impongono sanzioni a un Paese, sarà in primo luogo la popolazione a soffrirne. E’ ridicolo fingere che le sanzioni riguardano solo l’élite governativa. In genere, le élite al potere continuano a vivere nell’agiatezza. Sono i più deboli – le donne e i bambini – a dover pagare le conseguenze di queste sanzioni illegali.

Professor de Zayas, grazie mille per il colloquio.                                                       •

(Traduzione Discorso libero)


Alfred de Zayas (Stati Uniti d’America, cittadino svizzero dal 2017) è uno scrittore, storico e grande esperto di diritti umani e di diritto internazionale. Nel 2012 è stato nominato dal Consiglio per i diritti umani dell’ONU come primo esperto indipendente per la promozione di un ordine internazionale democratico e giusto, incarico che ha ricoperto fino al 2018.

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