Riflessioni sulla libertà, sul federalismo e sulla partecipazione democratica

di Marianne Wüthrich, dott.ssa in Diritto

È incredibile quello che si sente dire in questi giorni. Tipo che le misure del Consiglio federale per contenere la pandemia del Coronavirus sarebbero state completamente superflue e che l’isolamento non sarebbe stato necessario in quanto avrebbe solo danneggiato l’economia e limitato i diritti fondamentali dei cittadini. Mentre alcuni si lamentano della «presa di potere centralistica» di Berna, altri sono infastiditi dal «mosaico» che le decisioni sempre più federaliste portano con sé. Anche il Parlamento viene rimproverato di aver concluso la sessione primaverile con una settimana di anticipo a causa della pandemia, lasciando campo libero all›esecutivo. E infine i turbo-lobbisti svizzeri dell’adesione all’UE annunciano convinti che è stato dimostrato ancora una volta che con l’UE – o meglio ancora con un’adesione all’UE – andremmo meglio.
  
Di fronte a questa confusione di voci e stati d’animo è consigliabile mantenere la mente lucida.

Prima la salute –
l’economia svizzera si riprenderà

La stragrande maggioranza delle persone si è detta molto sollevata quando il Consiglio federale, in una situazione estremamente difficile, ha assunto il compito costituzionale di adottare «… provvedimenti a tutela della sicurezza interna» della Svizzera (CF art. 185 cpv. 2). Oggi la situazione di pericolo per la salute si è un po’ attenuata grazie all’arresto temporaneo di parti dell’economia, all’in-stancabile impegno dei medici e del personale infermieristico, al comportamento equilibrato della popolazione e alla costante valutazione dei passi successivi da parte del Consiglio federale e delle sue commissioni di esperti.
  
Con il senno di poi è facile dire che tutte queste restrizioni non erano necessarie. Da laica in campo medico preferisco ascoltare i consigli degli esperti secondo i quali oggi si ignora ancora molto sul virus, così come la loro raccomandazione urgente di non abbandonare le regole, ovviamente efficaci, del di-stanziamento e dell’igiene.
  
Mentre il danno economico causato dal coronavirus rappresenta certamente un ulteriore pesante fardello per molti paesi del mondo, la Svizzera sarà in grado di farvi fronte. In un sondaggio condotto da Swissmem (l’Associazione svizzera dell’industria meccanica, elettrica e metallurgica), ad esempio, oltre il 70% delle aziende ha dichiarato di prevedere un forte calo delle vendite e degli ordini nell’anno in corso, anche dopo la fine del blocco. Ciononostante, il redattore economico Lorenzo Bonati ribadisce su Radio SRF News: «Le aziende industriali svizzere finora hanno dimostrato una certa resistenza. Non ci sono stati licenziamenti di massa come negli USA, anche grazie allo strumento del lavoro a orario ridotto. Molte aziende hanno ancora sufficiente liquidità. Solo il 10% dei finanziamenti Covid-19 concessi dalle banche sono andati finora ad aziende industriali.»1 Se, come previsto, gli ordini in entrata nella seconda metà dell’anno continueranno a ri-stagnare, ci saranno ancora riserve.
  
Invece di lamentarci, faremmo meglio a riflettere più seriamente come aiutare le altre nazioni. Questo, ad esempio, è ciò che la Commissione della politica estera (CPE) del Consiglio nazionale propone nella sua sessione di giugno, chiedendo un «credito supplementare per l’aiuto umanitario» di 100 milioni di franchi per l’ONU, il Comitato internazionale della Croce Rossa (CICR) e altre organizzazioni per la lotta contro il coronavirus (mozione 20.3131).

Come fu a suo tempo con i Confederati liberi svizzeri?

In qualità di insegnante di educazione civica in Svizzera per molti anni, di tanto in tanto ho avuto discussioni con i miei allievi della scuola professionale. Mi chiedevano per esempio: è obbligatorio avere un’autorizzazione per una manifestazione? Può la polizia vietare una manifestazione per motivi di sicurezza pubblica? Che ne è della libertà di riunione, garantita dalla costituzione? Mi ricordo in particolare uno dei miei studenti, che il giorno del suo 18° compleanno annunciò: «D’ora in poi faccio solo quello che voglio!» Ma dopo soli dieci minuti si lamentava di non aver ricevuto nessun compito – già non sopportava più di non fare niente.
  
Dopo tutto, in uno stato con la democrazia diretta fa parte della libertà del cittadino la conoscenza e la consapevolezza del fatto che i diritti cittadini sono spesso legati a dei doveri. Ciò non vale ovviamente per i diritti umani fondamentali: per esempio, il diritto alla vita è incondizionato e obbligatorio. Per tutelare questo diritto per ogni individuo talvolta servono sacrifici finanziari, come molti imprenditori e lavoratori hanno dovuto sperimentare in questi ultimi mesi.
  
La partecipazione democratica dei cittadini, invece, è un gioco di concessioni reciproche. Nella democrazia diretta il diritto di codecisione non può essere fine a se stesso. Se nella comunità vogliamo un nuovo edificio scolastico, dobbiamo essere pronti ad aumentare la base imponibile. I nostri Consiglieri comunali, i nostri Governi nei Cantoni e a livello federale sanno che non possono semplicemente darci ordini ai quali noi cittadini dobbiamo obbedire. Avete assistito ad alcune delle conferenze stampa del Consiglio federale da inizio di marzo (sullo schermo)? I Consiglieri federali si sono presentati – a volte quotidianamente – su un piano di uguaglianza e ci hanno dato brevi informazioni e chiesto ulteriore collaborazione, per poi dare ai media e al pubblico (per telefono) il tempo necessario per domande e commenti critici. Come cittadina, sono stata lieta di parteciparvi e di assumermi le mie responsabilità. Non come limitazione della mia libertà, ma come espressione della mia libertà di poter dare, sulla base della mia responsabilità, il mio contributo. Si trattava dell’interesse comune – per un po’ di tempo la libertà individuale di andare a fare shopping o di incontrarsi nella piazza del paese è stata rilegata in secondo piano.
  
A proposito, nemmeno la libertà per la quale si sono battuti i vecchi Confederati riguardava i diritti di libertà personale del singolo – all’epoca non ne erano nemmeno consapevoli. La popolazione rurale della Svizzera centrale voleva piuttosto mantenere la propria libertà come comunità, senza sottomettersi a un sovrano straniero e riconoscere giudici stranieri.
  
In questo senso ancora oggi la libertà è al centro dell’attenzione della maggioranza del popolo svizzero – non vogliamo diventare membri dell’UE o della NATO, né vogliamo sottometterci a un accordo quadro dettato dall’UE. Così i media mainstream possono sfruttare a lungo la pandemia per ringraziare in modo esuberante la Presidentessa Simonetta Sommaruga per la sua iniziativa di scambiare i suoi punti di vista con i ministri degli Stati membri dell’UE durante queste ultime settimane. Le parole conclusive sono sempre le stesse: ora vediamo che la Svizzera dipende dall’UE – quindi stendiamo il tappeto rosso all’accordo quadro...2 Come se la Svizzera non fosse sempre stata aperta allo scambio reciproco, all’assistenza reciproca e al commercio economico – ma su un piano di parità, come ci hanno dimostrato i nostri antenati nella storia antica e recente. A tal scopo né la Svizzera né gli Stati membri dell’UE hanno bisogno di un concetto burocratico centralista – al contrario, come lo dimostra l’attuale situazione di crisi.

Il federalismo un «bel mosaico»?

Dopo che alcuni concittadini hanno inveito per settimane contro la «presa di potere centralista» da parte del Consiglio federale, altri (o gli stessi?) si sono recentemente indignati per la nascita di un «mosaico variegato». Si intendono i diversi approcci dei Cantoni alla graduale riapertura, ad esempio delle scuole. Alcune hanno iniziato l’11 maggio con mezze lezioni, altre in piccoli gruppi con 1-2 ore di lezione al giorno, altre con lezioni complete (soggette a severe norme igieniche) e con numerose altre varianti. Alcuni già chiedevano di nuovo regole uniformi a livello centrale, anche se nel frattempo erano state constatate grandi differenze regionali nella diffusione del virus.
  
Così l’epidemiologo Marcel Tanner, membro della task force scientifica del Consiglio federale, valuta la situazione attuale come segue: «Non c’è più bisogno di misure uniformi a livello nazionale, tanto più che le differenze tra i Cantoni sono talvolta notevoli.» I Cantoni ora devono «[...] tenere sotto controllo la situazione sul terreno e intervenire rapidamente sul posto se necessario». Tanner aggiunge: «Non possiamo permetterci un secondo blocco a livello nazionale, il danno sarebbe fatale sia in campo sociale che economico». Grazie alle nuove misure di Contact-Tracing disponibili e alle misure di contenimento mirate dei focolai locali di infezione, è possibile mantenere bassi i tassi di infezione fino a quando non sarà disponibile un vaccino, dice Tanner.3
  
Rimaniamo quindi fedeli alla molteplicità della Svizzera federale e sosteniamo per quanto possibile i Cantoni più colpiti nella lotta contro il virus ancora pericoloso. Ciò che continua a valere per tutti: rispettare le regole del distanziamento e dell’igiene!

Parlamento svizzero di milizia nella pratica

Qualche parola sulle critiche mosse al Consiglio nazionale e al Consiglio degli Stati, che il 12 marzo, quando la pandemia del coronavirus ha colpito violentemente il nostro Paese, hanno deciso di interrompere la loro sessione primaverile dopo due settimane. Secondo i critici, in mancanza di una decisione formale, il Parlamento aveva così costretto il Consiglio federale ad assumere un ruolo che avrebbe dovuto svolgere esso stesso.
  
Analizziamo a fondo questa accusa sulla base della Costituzione federale. Innanzitutto il Parlamento svizzero, a differenza della maggior parte degli altri parlamenti europei, è un Parlamento di milizia. Tiene quattro sessioni di tre settimane all’anno e nel frattempo si riunisce nelle varie Commissioni per preparare le sessioni ed esprimere il proprio punto di vista sui temi di attualità. In particolare, cari critici, vorrei chiedervi: cosa avrebbero dovuto fare le due camere del Parlamento nella terza settimana della sessione primaverile? Avrebbero potuto discutere e decidere i passi necessari per i mesi successivi a metà marzo, in cinque giorni, quando molte cose non erano ancora chiare? Un compito semplicemente impossibile. Avrebbero dovuto conferire al Consiglio federale una procura di pieni poteri come prima della seconda guerra mondiale? Per l’amor di Dio, no!
  
Secondo la Costituzione federale svizzera non è nemmeno necessario. Spetta al Consiglio federale discutere e decidere le misure necessarie per mantenere l’ordine interno, come a volte ha dovuto farlo quotidianamente (art. 185 cpv. 2 CF). Inoltre, l’articolo 7 della Legge federale sulla lotta contro le malattie trasmissibili dell’uomo (Legge sulle epidemie) prevede: «Se una situazione straordinaria lo richiede, il Consiglio federale può ordinare i provvedimenti necessari per tutto il Paese o per talune parti di esso».
  
In questo senso, tre Professori di diritto costituzionale e amministrativo dell’Università di Friburgo affermano: «A nostro avviso, il Consiglio federale è rimasto finora sostanzialmente entro i limiti delle sue competenze giuridiche e costituzionali.»4 Essi sottolineano che in situazioni analoghe il legislatore è anche libero di rafforzare le proprie possibilità di influenza e di controllo.
  
Non bisogna dimenticare che anche la salute dei nostri Parlamentari delle camere federali ci sta a cuore. È inimmaginabile pensare cosa sarebbe successo, se ci fossero stati dei malati di Covid-19 o addirittura dei morti nelle loro anguste sale delle riunioni!
  
Bisogna pure considerare che il Parlamento è sempre stato presente dietro le quinte. Da un lato tutti i gruppi parlamentari hanno sostenuto il Consiglio federale e le sue competenze per regolamentare la situazione straordinaria. Dall’altro lato, la presidente del Consiglio nazionale Isabelle Moret e il presidente del Consiglio degli Stati Hans Stöckli hanno annunciato già il 19 marzo 2020 che le riunioni urgenti delle Commissioni (ad esempio della Commissione delle Finanze, la cui approvazione è richiesta per i prestiti urgenti del Consiglio federale) si sarebbero tenute nel rispetto delle regole sul distanziamento e che per inizio maggio sarebbe stata preparata la sessione straordinaria. (Cfr. «Il Parlamento svizzero rimane in grado di agire nella crisi». Comunicato stampa del 19.3.2020).
  
Non appena è stato possibile dal punto di vista epidemiologico, le Commissioni di entrambi i Consigli hanno ripreso il loro lavoro. Dal 6 aprile hanno lavorato alle decisioni del Consiglio federale delle ultime settimane e hanno preparato la loro sessione speciale sulla pandemia del coronavirus (4-8 maggio 2020).
  
Per inciso, il Consiglio federale è stato il primo a chiedere al Parlamento di tenere una simile sessione e a dare la parola al legislatore sulle mozioni e sulle decisioni dell’esecutivo. L’obiezione secondo cui il Parlamento non avrebbe più potuto cambiare molto è giustificata. Tuttavia, è indice della buona ed amichevole collaborazione federale che il Consiglio nazionale e il Consigli degli Stati abbiano sostenuto le decisioni del Consiglio federale con maggioranze molto chiare e che lo abbiano ringraziato per il suo grande impegno.    •


1  Bonati, Lorenz. «Krise trifft Schweizer Metallindustrie schwer» in Rendez-vous del 26.5.2020
2  vedi, per esempio, l’articolo del corrispondente di Bruxelles del St. Galler Tagblatt, Remo Hess, il 25.5.2020, con il titolo significativo «Fast eine Familie» (quasi una famiglia) e il preambolo che menziona come durante la crisi del coronavirus Berna e Bruxelles lavoravano mano in mano. Ora si spera che questo spirito pragmatico continui a vivere ancora per un po’.
3  Fabian Schäfer. «Mini-Lockdowns» gegen das virus. Neue Zürcher Zeitung del 23.5.2020
4  Stöckli, Andreas; Belser, Eva Maria; Waldmann, Bernhard. «Gewaltenteilung in Pandemiezeiten, tribune della Neue Zürcher Zeitung del 26 maggio 2020

(Traduzione Discorso libero)

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