Un’autosufficienza più solida è all’ordine del giorno

Dalle scorte domestiche ad una sana politica agricola

di Marianne Wüthrich, dott.ssa in legge

Lo sanno tutti: quando il bisogno è urgente, il mondo sconfinato delle imprese multinazionali è incapace di contribuire a delle soluzioni umanamente degne nei vari paesi. D’altronde, non è questo il loro obiettivo primario. La loro priorità, anche in tempi di pandemie, rimane il recupero dei loro profitti. A tal fine, esse minimizzano il rischio permanente di infezione da Covid-19 e fanno pressione a favore di una cessazione più rapida delle misure governative.
  Per noi esseri umani, per la maggior parte dei nostri politici e imprenditori ancorati sul territorio, in primo piano vi sono altre necessità, come il miglioramento dell’autosufficienza in tempi di crisi. A seguito delle esperienze di questa primavera, il potenziamento necessario dell’assistenza sanitaria è già in corso. Ma che dire degli altri ambiti vitali come alimentazione, energia, sicurezza?
  Questi temi meritano di essere ampiamente discussi e affrontati. Gli ultimi mesi hanno confermato che una pianificazione lungimirante del futuro della popolazione e la gestione delle crisi devono far parte della responsabilità degli Stati nazione. Il referendum «Stop all’olio di palma», che è stato inoltrato il 22 giugno, è un gradito sostegno a questo concetto con un punto di vista che va oltre la punta del proprio naso.
  In Svizzera e in altri paesi benestanti siamo abituati a poter acquistare tutto ciò di cui abbiamo bisogno in qualsiasi momento. Ciò che non è prodotto sul mercato interno lo importiamo. A tal riguardo la pandemia del coronavirus ci ha procurato uno shock salutare. Perciò, occupiamoci oggi per prima cosa delle necessità primordiali in caso di emergenza: l’alimentazione e l’acqua potabile.

Scorte private insufficienti in molte famiglie

Secondo l’articolo 102 della Costituzione federale, la Confederazione deve garantire l’approvvigionamento del Paese in tutti i settori vitali:

Art. 102 Approvvigionamento del Paese*

  1. La Confederazione assicura l’approvvigionamento del Paese in beni e servizi vitali in caso di minacce d’ordine egemonico o bellico nonche in caso di gravi situazioni di penuria cui l’economia non è in grado di rimediare da sé. Prende misure preventive.
  2. Se necessario, puo derogare al principio della libertà economica.

    * Con disposizione transitoria

La Confederazione adempie a quest‘obbligo, da un lato, raccomandando alla popolazione di tenere scorte per un periodo di transizione e, dall‘altro, garantendo scorte obbligatorie di prodotti di prima necessità.
  Secondo l‘Ufficio federale per l‘approvvigionamento economico del Paese (UFAE), le scorte per le economie domestiche sono necessarie, ad esempio, nel caso in cui «il sistema di distribuzione ben funzionante [...] si deteriorasse a causa di strade bloccate o per altri motivi.» Secondo l’opuscolo «Kluger Rat-Notvorrat» (edizione febbraio 2017), l’UFAE raccomanda di tenere bevande per tre giorni (9 litri d’acqua + altre bevande) a persona, nonché un approvvigionamento di cibo per sette giorni, compresi i generi alimentari crudi. Inoltre, una radio a batteria, torce e candele con fiammiferi, medicinali necessari e articoli igienici nonché denaro contante per ogni famiglia.
  Un equipaggiamento d’emergenza piuttosto scarso, bisogna tenerlo presente: bere solo per tre giorni? E in quante famiglie c’è una radio che non dipende dalle prese di corrente e da internet? Nonostante queste scarse prescrizioni, un sondaggio condotto da Agroscope1 nel 2018 ha rivelato «che l’alimentazione e, soprattutto, l’approvvigionamento in acqua potabile sono al di sotto delle raccomandazioni in ampi settori della popolazione». Circa un terzo degli intervistati non ha scorte di derrate alimentari per sette giorni e persino il 70% non ha abbastanza bevande per tre giorni! Meno del 20 per cento teme una crisi dell’approvvigionamento alimentare (è probabile che questa percentuale in tempi di corona sia cresciuta). Non sappiamo quanti apparecchi radio a batteria siano disponibili: Agroscope si limita ad affermare che la maggior parte degli abitanti è raggiungibile tramite le stazioni radio e televisive pubbliche, i più giovani e una parte degli over 65 sono raggiungibili anche tramite internet o i social media.2
  Nessuno nell’UFAE sembra prendere in considerazione un’interruzione di corrente di lunga durata o addirittura una catastrofe riguardo a internet. E un blocco del traffico come unica causa di una scarsità alimentare sembra banalizzare il problema. Per quanto riguarda l’acqua potabile, noi svizzeri abbiamo il grande privilegio di averne abbastanza. In passato, tutti avevano una fontana nelle vicinanze dalla quale potevano prendere l’acqua in caso di emergenza. Ma avete notato che negli ultimi anni la maggior parte delle fontane pubbliche nei paesi e nelle città è effettivamente stata messa fuori servizio: scritti «senza acqua potabile», fontane non più curate o con beccucci sporchi? Finora non siamo ancora stati informati sulle cause e sugli effetti di questa situazione.
  Alla più importante di tutte le questioni, la sicurezza dell’approvvigionamento di acqua potabile, deve essere dedicata speciale attenzione.
  Queste sono solo alcune delle osservazioni critiche di un profano. L’Ufficio federale per l’approvvigionamento economico del Paese, affiancato da noi cittadini, deve esaminare più meticolosamente il problema delle scorte d’emergenza, includendo anche le questioni elencate sopra.

Scorte obbligatorie svizzere organizzate su base cooperativa

Le scorte obbligatorie ai sensi della Costituzione federale non sono nelle mani della Confederazione, ma sono detenute in modo decentrato da imprese private organizzate come cooperative alla “maniera svizzera”: «La cooperativa réservesuisse conta 117 aziende associate. Tutti i membri della cooperativa hanno stipulato con la Confederazione un accordo di detenzione obbligatoria delle derrate alimentari e del foraggio per animali nell’interesse dell’approvvigionamento economico nazionale». Oltre alle grandi aziende come Migros, Coop e Nestlé, tra i soci vi sono molti mulini per cereali, cooperative agricole regionali (Landi), lo Zuccherificio Rupperswil e altri commercianti di generi alimentari e aziende di trasformazione (https://www.reservesuisse.ch/?lang=it). Zucchero, riso, oli e grassi commestibili, caffè, cereali per il consumo umano e cereali da foraggio (scorte per tre o quattro mesi ciascuno) sono soggetti a stoccaggio obbligatorio. Inoltre, la maggior parte dei commercianti conserva le proprie riserve all’incirca nella stessa misura.
  Inoltre, la Carbura (organizzazione di stoccaggio obbligatorio dell’industria petrolifera svizzera) organizza lo stoccaggio di benzina, gasolio, oli combustibili e kerosene per l’aviazione. Helvecura è responsabile delle scorte obbligatorie di medicinali come gli antibiotici. Le scorte obbligatorie di fertilizzanti azotati sono organizzate da Agricura, mentre il gas naturale per il riscaldamento e la cottura, nonché per l’industria e il commercio, è immagazzinato da Provisiogas. (www.reservesuisse.ch)

Le importazioni di prodotti alimentari non possono sostituire l’alta qualità dell’autosufficienza dell’agricoltura locale

Dopo la pandemia del coronavirus, molte persone si sono rese conto dell’importanza che i contadini svizzeri rivestono per noi. Con i loro prodotti danno un contributo ine-stimabile per un’alimentazione sana e sostenibile. Mentre i negozi e le frontiere erano parzialmente chiusi, essi hanno continuato le loro attività come se nulla fosse. Ora un maggior numero di persone utilizza la vendita diretta di prodotti agricoli. I negozi delle fattorie vivono un vero e proprio boom, e i mercati del sabato, dove spesso si trovano le insalate più croccanti, le fragole e gli asparagi più pregiati, dopo essere rimasti chiusi per un periodo di tempo abbastanza lungo, sono molto più apprezzati: i clienti aspettano pazientemente a una distanza ragionevole il loro turno per gli acquisti, per poi far la fila alla cassa.
  Il fatto che in tempi di pandemia l’importanza della produzione locale sia di nuovo emersa dà nuovo impulso agli agricoltori e alle loro organizzazioni. L’Unione svizzera dei contadini(USC) in un comunicato stampa del 1° aprile ha potuto annunciare: «L’Ufficio federale per l’approvvigionamento economico del Paese ha confermato all’Unione svizzera dei contadini, in una lettera e dopo un adeguato intervento, che nell’attuale situazione eccezionale di Corona le aziende agricole sono ‹di rilevanza sistemica› per l’approvvigionamento del Paese con beni e servizi vitali. La libertà di movimento necessaria per svolgere il proprio lavoro è così garantita. Questo anche se la Confederazione dovesse inasprire ulteriormente le misure».
  I sostenitori del libero scambio (agricolo), d’altra parte, non accolgono con poca soddisfazione il fatto che la produzione alimentare nazionale in questi giorni si sia dimostrata indispensabile. La Neue Zürcher Zeitung del 14 maggio 2020, per esempio, titola: «Scorte obbligatorie ben piene al posto dell’autosufficienza [...]».3 Gli autori costruiscono così un contrasto che non esiste tra le riserve di emergenza organizzate dallo Stato da una parte e l’autosufficienza dall’altra. Il termine «autosufficienza» implica anche che qualcuno possa credere che la Svizzera sia in grado di mantenersi completamente da sola, il che è assurdo. In realtà la «Neue Zürcher Zeitung» è infastidita dal fatto che, dopo la pandemia, tutti hanno dovuto rendersi conto di quanto siano importanti i nostri agricoltori: «Nell’attuale crisi da corona l’autosufficienza agricola ha acquisito nuovo peso. Nelle ultime settimane numerosi paesi hanno imposto restrizioni all’esportazione o addirittura divieti di esportazione. Ciò ha comportato anche ritardi nelle importazioni in Svizzera, ad esempio di materie prime come il riso, il grano o il caffè. La lobby agricola, che da tempo chiede un aumento del grado di autosufficienza e, con il pretesto della sicurezza degli approvvigionamenti, rifiuta la nuova politica agricola (PA22+), ha reagito prontamente. Secondo la «Neue Zürcher Zeitung», il dibattito sull’aumento del grado di autosufficienza alimentare è stato però troppo poco esteso, se si considera che la Svizzera dipende sia dalle importazioni di derrate alimentari di base, sia di sementi, di foraggio concentrato e di macchinari.
  È chiaro che la Svizzera sia dipendente dalle importazioni, come qualsiasi altro Paese, ma come piccolo Stato e paese senza sbocco sul mare, con poche risorse naturali, lo è in special modo. Non è una novità. Non facciamoci però distrarre dal fatto che l’imperativo attuale non sia il libero mercato agricolo senza confini bensìil mantenimento e il rafforzamento delle aziende agricole svizzere come presupposto per la massima autosufficienza alimentare. Anche questo è molto ben realizzabile – se è davvero ciò che stiamo cercando di ottenere. Facciamo un esame più approfondito.

La Politica agricola 22+ mira al libero scambio – anche con l’UE

La maggior parte dei cittadini erano consapevoli dell’importanza dell’agricoltura locale e del più alto livello possibile di autosufficienza alimentare già prima del coronavirus. Poiché il consigliere federale Johann Schneider-Ammann aveva promesso prima del voto sulla sicurezza alimentare che il grado di autosufficienza alimentare sarebbe rimasto al 60 percento, il 24 settembre 2017 molti elettori hanno votato sì.4
  In realtà, però, con la sua Politica agricola 22+ il Consiglio federale punta nella direzione opposta (già prevista all’epoca): alla produzione interna devono essere applicati requisiti ecologici più severi, mentre al tempo stesso il mercato agricolo si «apre» sempre più ai prodotti esteri.5
  Questo porterebbe ad una marea di prodotti provenienti dall’estero, che già oggi possono essere offerti a prezzi più convenienti grazie ai minori costi di produzione. Secondo la rivista «Der Schweizer Bauer», la Politica agricola 22+ e gli accordi di libero scambio conclusi e in vigore significherebbero che entro il 2025 la quota della produzione interna nel campo del consumo scenderebbe al 52 per cento. Il giornale riassume in poche parole la difficile situazione dell’agricoltura svizzera: «PA 22+: produrre meno derrate alimentari nel Paese, ma importarle da tutto il mondo senza condizioni»6 O nella formulazione rivelatrice del Consiglio federale: «L’importazione di derrate alimentari potrebbe alleviare il peso sugli ecosistemi domestici.»7
  Sull’accordo agricolo con l’UE attualmente vige il silenzio più assoluto. Se i capi delle grandi imprese (la maggior parte delle quali non è radicata in Svizzera) e i turbo-UE della politica e dell’amministrazione federale riusciranno a far passare in votazione popolare l’accordo quadro istituzionale tra la Svizzera e l’UE, l’accordo agricolo sarà ben presto sul tavolo, così come l’accordo sull’elettricità, da tempo previsto.
  Con l’accento sul «se» – perché noi svizzeri non seghiamo di certo il ramo su cui siamo seduti! Sicuramente non sacrificheremo il nostro modello svizzero, benefico per il paese e la sua popolazione, sull’altare del colosso centralista e antidemocratico dell’UE.  •


1  Agroscope è il centro di competenza federale per la ricerca agricola ed è affiliato all’Ufficio federale dell’agricoltura (UFAG).
2  Zimmermann, Albert; Pescia, Gabriele. «Notvorrat: aktuelle Situation und Einflusskriterien.» (Scorte di emergenza: situazione attuale e criteri di influenza). Editore: Agroscope (commissionato dall‘Ufficio federale per l‘approvvigionamento economico del Paese UFAE). 2018, S.4
3  Gratwohl, Natalie; Rütti, Nicole. «Gut gefüllte Pflichtlager statt Autarkie: wie die Lebensmittelversorgung in der Krise effizient geregelt wird.» (Scorte obbligatorie ben piene invece dell‘autosufficienza: come gestire in modo efficiente l‘approvvigionamento alimentare in caso di crisi), in: Neue Zürcher Zeitung del 14.5.2020
4  Il caporedattore Daniel Salzmann. «Das gebrochene Versprechen» (La promessa infranta) in: Der Schweizer Bauer del 16.5.2020
5  Vedi messaggio del Consiglio federale concernente l‘ulteriore sviluppo della politica agricola a partire dal 2022 (PA22+) del 12 febbraio 2020 (https://www.blw.admin.ch/blw/it/home/politik/agrarpolitik/ap22plus.html)
6  Caporedattore Daniel Salzmann. «Das gebrochene Versprechen» (La promessa infranta) in: Der Schweizer Bauer del 16.5.2020
7  Vonplon, David. «In der Corona-Krise: Bauern wollen Agrarreform des Bundesrates stoppen» (Nella crisi della Corona: i contadini vogliono fermare la riforma agraria del Consiglio federale), in: Neue Zürcher Zeitung del 31.3.2020

(Traduzione Discorso libero)

Referendum «Stop all’olio di palma» inoltrato il 22 giugno con quasi 60 000 firme

mw. Da alcuni anni, ampie cerchie si battono contro due accordi di libero scambio con la Malesia e l’Indonesia. Nella sessione invernale del 2019, il Consiglio nazionale e il Consiglio degli Stati hanno approvato gli accordi. Per far sì che le esportazioni svizzere beneficino di condizioni più favorevoli, l’agricoltura deve farne le spese: ancora più di oggi, la coltivazione della colza e la produzione di olio di colza in Svizzera dovrebbe competere con l’olio di palma a basso costo, che non è né sostenibile né prodotto a condizioni di lavoro accettabili. D’altra parte sono state presentate quattro iniziative cantonali (Turgovia, Giura, Berna, Ginevra), ma sono state respinte dalla maggioranza del Consiglio nazionale e del Consiglio degli Stati. Diverse iniziative del PS e dei Verdi in Parlamento sono state respinte da entrambe le camere.
  Dopo l’approvazione parlamentare dei due accordi, circa 50 organizzazioni di contadini, partiti politici e sindacati, nonché organizzazioni ambientaliste e del terzo mondo a partire dal gennaio 2020 hanno iniziato la raccolta le firme per il referendum. A seguito del coronavirus, dal 21 marzo è stata vietata la raccolta di firme in luoghi pubblici e il Consiglio federale ha pertanto deciso di sospendere i termini per le iniziative popolari e i referendum facoltativi dal 21 marzo al 31 maggio. Fortunatamente, il 22 giugno 2020 sono state inoltrate 59’200 firme contro l’accordo con l’Indonesia, e il popolo deciderà alle urne.
  Il referendum contro l’accordo di libero scambio con l’Indonesia è sostenuto dalle seguenti organizzazioni:

«Siamo una società civile e un’alleanza di agricoltori, iniziata dal viticoltore biologico Willy Cretegny di Ginevra. Il referendum è finora sostenuto da: Uniterre, Multiwatch, Incomindios, Agrisodu, Grassrooted, Agrarinfo, Partito svizzero del lavoro, SolidaritéS, Nouveau Radical, Bioforum, Longo Maï, Solidarité sans frontières, JUSO, Tier im Fokus, Kleinfarmer-Vereinigung, Bäuerliches Zentrum Schweiz, Les Verts Genève, Grève du climat Vaud, FIAN Svizzera, Collectif BreakFree Suisse, Fédération Romande d’Agriculture Contractuelle de Proximité (FRACP), PS Genève, Jeunes Verts Suisse, Les Verts Vaud, Les Verts Fribourg, Centre Europe – Tiers Monde (CETIM), Fédération Syndicale SUD, Slow Food Svizzera, Chrétiens au travail, BastA! Basels starke Alternative, Alternative Linke Bern, Die Gewerkschaft im Service public VPOD, Parti Socialiste Neuchâtelois, Les Verts Jura, Vision 2035, FIAN Suisse, ATTAC Schweiz, Árbol Conrazón, Magasins du Monde, Action Chrétienne Agricole et Romande (ACAR), Theologische Bewegung für Solidarität und Befreiung (TheBe), Décroissance Bern e Grüne Partei Neuchâtel.

Ragioni importanti contro la coltivazione su larga scala dell’olio di palma

  • Deforestazione di enormi foreste tropicali umide a favore di enormi monocolture di palma da olio: «L’Indonesia, il quarto paese al mondo per popolazione, è diventato il più grande produttore mondiale di olio di palma dal 1990 (30,5 milioni di tonnellate all’anno). Nel 2016, le aree di palma da olio erano cresciute fino a 13,5 milioni di ettari. Un’area tre volte più grande della Svizzera. L’Indonesia ha una delle aree di foreste tropicali più ricche di specie al mondo, ma un quarto di esse ha dovuto lasciare il posto alle piantagioni. Si stima che entro il 2020 ci saranno quasi 22 milioni di ettari di palme da olio. [...] Sempre più vaste aree di foreste tropicali vengono disboscate, antichi serbatoi di CO2 si stanno svuotando nell’atmosfera e gli animali a rischio di estinzione stanno perdendo il loro habitat.»
  • Condizioni di lavoro disumane: «Circa 20 milioni di persone lavorano nella produzione di olio di palma. [...] Il lavoro minorile e il lavoro forzato sono diffusi, i salari sono al di sotto del minimo legale e la sicurezza sul lavoro è insufficiente. Anche l’uso di pesticidi e fertilizzanti altamente tossici senza un’adeguata protezione è una pratica corrente».
  • L’agricoltura svizzera non deve essere sacrificata agli accordi di libero scambio: con queste chiare parole, il rinomato economista Professor Mathias Binswanger* in un’intervista rilasciata al Comitato referendario definisce l’argomento principale del referendum: «Nel caso del libero scambio, l’agricoltura svizzera non è competitiva a causa dei costi elevati in Svizzera e della situazione topografica». L’olio di palma compete con la produzione nazionale di semi oleosi perché è estremamente economico e rende da quattro a sette volte di più della colza o del girasole. L’agricoltura svizzera non deve essere sacrificata a favore di accordi di libero scambio, ma «gli accordi dovrebbero essere negoziati in modo tale da permettere ancora una protezione delle frontiere per i prodotti agricoli. Purtroppo, però, al Consiglio federale manca la volontà politica di farlo».
     

*  Mathias Binswanger è professore di economia alla Scuola universitaria professionale della Svizzera nordoccidentale di Olten e docente privato all’Università di San Gallo.

Fonte: https://uniterre.ch/de/themen/stop-palmol-das-referendum-gegen-das-freihandelsabkommen-mit

(Traduzione Discorso libero)

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