Sul compito di stare dalla parte della vita

Insegnamenti di un quarto di secolo di «nuova eutanasia»

di Moritz Nestor

zf. Il seguente articolo è stato scritto in occasione del ventesimo anniversario della fondazione della «Società ippocratica Svizzera» – ma le questioni che solleva concernono questioni antropologiche fondamentali, sono di attualità e rivestono grande importanza. Si tratta del nostro atteggiamento verso la vita, verso i nostri simili, del rapporto tra le generazioni ma anche di una classificazione della questione nel contesto socio-politico. Non solo invitano alla riflessione nel contesto del dibattito che si è ripetutamente acceso attorno all’eutanasia e al suicidio assistito, ma sono anche di grande attualità nel contesto delle attuali discussioni sulla necessità di una presunta «valutazione degli interessi» tra salute ed economia in relazione a Covid-19.

Gentili Signore, egregi Signori

Permettetemi di fare un'osservazione preliminare personale. Mio padre era un ufficiale della «Grossdeutsche Wehrmacht» e nel 1943, nel corso della ritirata dal Kessel di Chertkovo, scampò per un pelo alla morte con una ferita alla testa e con i piedi congelati. Sono cresciuto profondamente colpito dalla guerra e dall'eutanasia nazista. Mio padre, che dopo sei anni di guerra nei suoi incubi ha dovuto continuare a uccidere per altri trentacinque anni fino alla sua morte, è per me un esempio ammonitore di ciò che significa non poter trovare riposo in vita perché si è stati coinvolti – attivamente o passivamente – a uccidere. E dover riflettere, un giorno, se il tuo amato padre uccise con le stesse mani con cui ti ha accarezzato è qualcosa di profondamente inquietante.
  Quando ho letto l'articolo «Unerforschte Wege der Euthanasie in Holland»1 nella «Neue Zürcher Zeitung» del 29-30 maggio 1993, non riuscii a crederci.2 Cosa dovrebbero essere le «vie inesplorate» dell'eutanasia nella Svizzera democratica nel 1993? L'articolo della NZZ era il preludio alla campagna per la legalizzazione dell'«eutanasia» in Svizzera.3  Abbiamo appreso allora che l'esempio spaventoso dell'articolo della NZZ era il risultato di una graduale liberalizzazione dell'uccisione dei pazienti nei Paesi Bassi a partire dagli anni Settanta, che ora stava arrivando in Svizzera. Nei rapporti governativi dei Paesi Bassi abbiamo trovato le cifre dell'«eutanasia» per gli anni 1990 e 1995. Nel 1990: 19 803 (su 128 824 morti dello stesso anno) e nel 1995: 26 593 (su 135 675 morti dello stesso anno).4

Parlare pubblicamente di uccidere come se fosse «amore», e le sue conseguenze

Il punto centrale del Giuramento di Ippocrate è il divieto di uccidere. Il giuramento è il più antico codice etico a noi noto nella storia dell'umanità. La sua lunga esistenza di oltre 2.500 anni, e il fatto che in tutto questo tempo non sia stata necessaria nessuna legge penale da applicare tra i medici, riflette ciò che Viktor von Weizsäcker, uno dei fondatori della medicina psicosomatica e dell'antropologia medica moderna, scrisse nel suo saggio del 1923 «Ippocrate e Paracelso»: la professione del medico, dice, 

«è perpetua, forse eterna. E poiché quello di ammalarci e di aver bisogno di aiuto è un destino eterno, ecco perché l'atto medico ha una storia [...]. Ma la medicina non va e viene come un popolo, come una cultura, è più lunga, la sua arte è lunga [...], ed è proprio per questo che fa parte di tutto ciò che è più lungo di una storia, perché, come la filosofia, fa parte del perpetuo, dell'infinito – dello spirito. [...] la sua origine non è nello spirito, ma nella vita, in quella cellula dell'esistenza terrena con i suoi dolori e le sue sofferenze [...] il ‹philosophos› [è] un amante della salute o della completezza – in fondo, quindi, un medico. Poiché un medico dotato sarà [...] colui che ha il senso dell'armonia, il senso del bello, del completo e del perfetto; quanto più sensibile sarà nel sentire ciò che serve, ciò che manca, tanto più forte sarà il suo desiderio del bello, del completo, tanto più forte sarà il suo amore per i malati.»5 

Non siamo forse diventati medici e psicoterapeuti perché siamo stati toccati da qualche parte da quell'«amore per i malati» e da quell'«amore per i sani» di cui qui parla Weizsäcker e attraverso il quale, come dice lui, «sentiamo ciò che serve, ciò che manca»? Alla domanda: come si diventa medico? Viktor von Weizsäcker risponde con un'immagine commovente:

«Quando la sorellina vede il fratellino che soffre, trova una via al di là di ogni conoscenza: guidata dall’amorevolezza la sua mano trova la via; accarezzandolo, vuole toccarlo dove gli fa male. Così la sorellina diventa il primo medico. Conoscenze primordiali regnano inconsciamente in lei: guidano il loro impulso alla mano e la conducono al contatto efficace. Poiché è questo che il fratellino sperimenterà: la mano gli fa bene. Tra lui e il suo dolore c'è la sensazione di essere toccato dalla mano fraterna, e di fronte a questa nuova sensazione il dolore si ritira. Ed è così che nasce il primo concetto di medico, la prima tecnica terapeutica. Infatti, qui l'essere medico è tutto nella piccola mano, la malattia tutto nell'arto dolorante, e rimarrà sempre così; anche se la mano diventa più grande e si attrezza con strumenti o dando al malato le sostanze curative o completando con la parola i suoi gesti, questa mano rimarrà sempre altrettanto abile nel toccare e nell'afferrare, nel carezzare e rinfrescare, un'essenza anche dell'attività medica futura».6 
  «Con la domanda: Cosa ti manca? [...] il fenomeno primordiale dell'essere medico viene introdotto nella realtà. Questa quotidianità [dell'incontro del malato con il suo medico, MN] merita di essere affrontata con serietà, anche solenne».7  Il suo «punto di partenza non sono conoscenze, ma domande».8

Così, nel 1993, la nuova campagna sull’«eutanasia» è iniziata anche in Svizzera. Nell'autunno del 1993, Piet Admiraal, membro della Società olandese per l'«Eutanasia Volontaria», è apparso per la prima volta nell'Aula Magna dell'Ospedale Universitario di Zurigo. La relazione contraddittoria è stata tenuta da un avversario olandese dell'eutanasia, il Prof. W. C. M. M. W. Klijn, professore di etica all'Università di Utrecht e membro della «Commissione di Stato sull'eutanasia» nei Paesi Bassi. Egli ci ha messo in guardia con decisione: «Avete l'articolo 115 [Codice penale]. Diventerà la porta d'ingresso».
  Da allora, il Paese è stato inondato di propaganda sull'eutanasia. Negli ultimi dieci anni, in modo aggressivo come mai prima d'ora e a un ritmo sfrenato. Sono state persone come il filosofo Robert Spaemann, lo psichiatra Klaus Dörner, e soprattutto i gruppi tedeschi degli istituti per disabili e degli ospizi per anziani che hanno riconosciuto molto presto che il semplice parlare pubblicamente di omicidio provoca gravi danni sociali. A Spaemann piaceva citare Aristotele di fronte a coloro che sostenevano l’essere «autorizzati» a parlare di «eutanasia» una questione di tolleranza: «Chi dice che si può anche uccidere la propria madre non merita discussioni, ma rimproveri».9  A quel tempo abbiamo capito solo progressivamente cosa intendesse dire. E quello che posso dirvi oggi è il risultato di trent'anni di storia personale.
  La persona gravemente malata dipende sempre esistenzialmente dall'assistenza medica appropriata e dalle cure umane dei suoi famigliari, buoni amici, medici e infermieri, che non solo «si prendono cura» di lei, ma la sostengono in modo empatico, infondendo instancabilmente coraggio, fiducia e speranza. Se l'ambiente sociale, in particolare anche medici e infermieri, è testimone di un forte legame etico secondo cui sarà fatto tutto l’umanamente possibile per alleviare la sofferenza del paziente e per farlo guarire, che sarà fatto tutto il possibile affinché nelle ore più difficili, quando le competenze mediche raggiungono i loro limiti, per non abbandonare il malato, ma per affrontare insieme le situazioni più difficili – allora un tale sostegno umano è decisivo per il decorso della malattia in misura tale da non sottovalutare. Oltre alle migliori cure mediche possibili, la volontà di vivere e la speranza di guarire giocano un ruolo importante nell’evoluzione della malattia e nelle prospettive di guarigione. Questa forza interiore deve essere infusa nel paziente scoraggiato dalle persone che lo circondano. Scientificamente, l’interdipendenza tra mortalità e connessione sociale è ben documentata. Thure von Uexküll riassume gli studi a tal proposito nella sua opera standard «Psicosomatica»: Le persone con...

«i legami sociali e i rapporti umani più piccoli hanno mostrato una mortalità 2,3 volte (per gli uomini) e 2,8 volte (per le donne) più alta di quella del gruppo con legami sociali e rapporti umani pronunciati. [...] [e cioè, MN] senza tener conto dello stato di salute al momento dell'inizio della ricerca e dell'anno del decesso, né dello stato socioeconomico, né dei comportamenti dannosi per la salute [...] e dell'attività fisica o del ricorso a servizi sanitari preventivi».10 

In passato, quando demonizzavamo come un peccato il suicidio, non abbiamo reso giustizia a questo dramma. Né gli si rende giustizia oggi, quando lo si glorifica come «autodeterminazione», compassione altruista o anche atto d'amore. Ma dal 1993 tutto ciò è stato propagato.
  Il padre della ricerca sul suicidio Erwin Ringel, studente di Alfred Adler, ha ammonito che il suicidio non è né un peccato né  un atto di autodeterminazione.11 Il motivo del suicidio è piuttosto un profondo sconforto psichico che deve essere riconosciuto. Il medico, ma anche tutte le altre persone coinvolte, devono comprendere il dramma psicologico che si cela dietro il desiderio di suicidio e le sue premesse, quando una persona vede la propria morte come l'unica via d'uscita possibile.12
  Questa «costrizione psichica» (Ringel) può verificarsi soprattutto in persone che hanno difficoltà ad affrontare la dipendenza dalle cure. Dover accettare l'aiuto può scatenare in loro emozioni di rifiuto di sé talmente forti che si sentono solo inutili e un peso per i loro simili, al punto che i pensieri suicidi reprimono ogni rapporto positivo con la vita – se l'ambiente umano non può contrastarli.
  Questo processo è accentuato artificialmente e rafforzato dal discorso pubblico sul suicidio come presunta scelta, come decisione «autonoma», come «servizio d'amore». Nel clima sociale che ne risulta gli anziani e i malati cominciano a sentirsi come un peso per la famiglia e la società. 
  A un certo punto, la graduale erosione interiore della loro autostima progredisce fino al punto in cui cominciano a sentirsi moralmente obbligati a parlare con il coniuge, i parenti o il medico sul «suicidio assistito» e persino a «desiderare» la loro morte.
  La vita umana, soprattutto nella prima e nell'ultima fase della vita, è fragile e fortemente dipendente dall'assistenza e dall'aiuto. Questo, fintanto che godono di una buona salute, viene raramente realizzato da persone attive, che per tutta la vita hanno tratto il valore per i loro simili dal fatto di essere forti, indipendenti e disposti ad aiutare. La consapevolezza che la loro forza abituale è improvvisamente diminuita a causa dell’invecchiamento o della malattia, e che non possono più affrontare tutto con l’energia e rapidità di una volta, spesso scuote la loro fiducia in se stessi. È particolarmente difficile per loro accettare l'aiuto quando la natura pone limiti prima sconosciuti al loro stile di vita laborioso, dopo essere stata una benedizione per i parenti e gli altri esseri umani, e che questi limiti non possono più essere superati a piacimento. Intere aree della precedente attività di vita vanno di continuo perdendosi.
  Lo stile di vita incentrato soprattutto sull'efficienza contribuisce largamente a far dimenticare alle persone anziane malate la loro ricca esperienza di vita, impedendo loro di conservare una visione serena di una vita pienamente vissuta. Questa ricca percezione è un vero tesoro d’esperienze che manca alla gioventù. Gli anziani sono testimoni viventi del passato e contribuiscono a garantire la continuità dello sviluppo culturale. Dalla loro visione d'insieme cresce la saggezza della vecchiaia, che può sostenere soprattutto le giovani generazioni, in modo che le loro piccole e grandi preoccupazioni possano essere soppesate più serenamente dalla visione più realistica degli anziani.
  È un grande compito umano infondere alle persone in questa situazione così tanto coraggio e realismo da potersi riconciliare con la loro debolezza, fare progetti con più perseveranza, con calma e realismo, e possibilmente conquistare aree di vita fino ad allora non conosciute – come per esempio il senso della loro presenza per la nuova generazione spesso titubante. Anche questa conquista fa parte della libertà umana.
  Il malato e chi ha bisogno di aiuto possono scoraggiarsi, dubitare del senso della vita e non sentire più la forza di continuare a vivere, soprattutto quando soffrono per i dolori fisici. Se un medico o dei parenti o dei prodotti mediatici interpretano questa mancanza di forza e di coraggio come l'espressione di una «libera decisione» di uccidersi, allora il malato è tagliato fuori dall'aiuto che gli permetterebbe di padroneggiare insieme a coloro che gli sono vicini la sua difficile situazione. Egli si sente abbandonato, il che incoraggia ancora di più i pensieri suicidi.
  Noi, in quanto a esseri umani, dobbiamo la nostra vita alla generazione dei nostri genitori e dei nostri nonni, che ce l’hanno regalata. È grazie al loro aiuto e alla loro cura che siamo riusciti a diventare umani. Ognuno di noi si sente quindi grato nel voler restituire loro oggi ciò che nel passato ci hanno dato – per amore, senza che ce lo avessimo chiesto. Questo contratto invisibile crea un legame naturale fra le generazioni. Esso costituisce il nucleo della nostra natura sociale.13 Lo stesso pieno impegno e la stessa amorevole preoccupazione che una volta ricevevamo da bambini, li dobbiamo oggi alla vecchia generazione, lo stesso impegno totale, prestato questa volta dai più giovani. Questo è il diritto naturale della generazione dei genitori che invecchia. Questo contratto intergenerazionale è irrevocabile.14 Possiamo violarlo, ma «l'opinione sbagliata di una persona su se stessa e sui compiti della vita prima o poi si scontra con l'obiezione ferrea della realtà, che richiede soluzioni nello spirito del sentimento comunitario»15, poiché senza l'aiuto reciproco la convivenza umana diventa impossibile. «Ciò che accade in questo scontro può essere paragonato allo shock di una collisione», osserva Adler: il rifiuto del diritto all’aiuto si traduce in un danno umano di cui è un'espressione di accusa. 
  La preoccupazione per il successo e la protezione della vita ci accompagna per tutta la nostra esistenza, soprattutto in caso di malattia e di dipendenza in età avanzata – anche se l'automazione digitale e la prosperità ne offuscano la visione. Coloro che aiutano gli altri diventano più sicuri di essere aiutati anche loro in situazioni difficili. Questo crea un senso di sicurezza e di fiducia che può alleviare la paura, a cui noi umani siamo così accessibili, e rendere la vita sopportabile. Questa è la migliore protezione possibile della vita.16
  Sono proprio le persone che sono in grado di accettare l'aiuto e che hanno così coraggiosamente superato una grave malattia o un bisogno di aiuto a trasmettere agli altri la speranza e il coraggio che possono e saranno aiutate anche loro nelle ore difficili. Attraverso il discorso pubblico sull'«eutanasia», però, i malati e i bisognosi in grande difficoltà vivono l'esperienza che i loro simili, da cui dipendono e che potrebbero venire in aiuto, considerino la morte come una soluzione.
  La persona ammalata è così abbandonato all’angoscia. Questo la indebolisce, ma indebolisce anche emotivamente tutte le altre persone coinvolte. La compassione naturale e l‘impulso spontaneo e innato ad aiutare, che il bambino esprime già nel primo anno di vita senza che si debba insegnarglielo, che fa parte della sua natura, si indebolisce e si spegne. A un certo punto la società dell'eutanasia rimprovera al medico, che in fondo vuole aiutare, di voler impedire alla persona malata e disperata di morire. In una società in cui l'impulso naturale a voler aiutare soccombe, la forza e la speranza di superare i compiti difficili e di crescere da essi si affievoliscono ovunque.
  Così il solo discorso sull’uccidere per pietà e la sua costante presenza mediatica erodono le condizioni di base della vita umana. Il legame psichico e la compassione naturale si trasformano in «pietà mortale». Le forze sociali naturali dell'uomo, come le conosciamo dalle ricche scoperte dell'antropologia, della psicologia individuale e della psicologia dello sviluppo, il senso umano di solidarietà e lo spirito comunitario deperiscono sotto questa operazione psicologico-sociale in seno all’individuo e alla società.
  Poiché tutti un giorno si ammalano, il discorso pubblico sul «buon omicidio» colpisce prima di tutto la sfera protettiva della famiglia e il rapporto di fiducia del paziente con il suo medico, il custode della vita. Ma quando si dice pubblicamente che il medico è anche responsabile della «buona morte» e che può uccidere qualcuno «egoisticamente» per «amore», allora il medico diventa un pericolo. La fiducia che mi permette di rivolgermi al medico senza paura, perché tutto ciò che fa è per il mio bene, e perché posso essere sicuro che lui è e rimane il garante della mia volontà di vivere – è distrutta.
  Da molti Paesi conosciamo rapporti scritti onestamente sui veri processi di «eutanasia», che il pubblico non apprende mai dai media che alimentano il dibattito sull'eutanasia, parlando della «buona morte». In essi, famigliari testimoniano di come si rendono conto, dopo l'atto, di essere diventati complici, colpevoli della morte di una persona amata, di come sono depressi e si chiedono, oppressi dalla vergogna, come continuare a vivere.17 Sono ben conosciute anche le immagini di medici eutanasici che dopo l'uccisione di un paziente reagiscono meccanicamente e pietrificati, lasciando intendere il motivo per cui dopo un «suicidio assistito» si siano dovuti ritirare per un fine settimana.18
  Il fatto stesso di parlare pubblicamente sull'uccisione significa già disporre di una vita umana. In effetti si apre una porta che al momento giusto conduce ad azioni contro la vita e distrugge gli atteggiamenti morali di base. Se si «discute» pubblicamente che è un «atto d'amore» dare veleno a persone la cui vita non è più considerata degna di essere vissuta, allora questo giudizio è un’ingerenza esterna che si arroga il diritto di disporre della vita del malato. In un clima sociale caratterizzato da una simile visione delle cose, chiunque può diventare complice solo con un’accettazione passiva, poiché il silenzio ha l’effetto di un’approvazione.

  I medici e gli psicologi sono per professione sostenitori della vita. Conoscono le conseguenze sulla psiche del malato del discorso pubblico sull'uccisione. E sanno anche, soprattutto, cosa succede nell'anima delle persone che partecipano attivamente o «passivamente» all'uccisione di pazienti o di famigliari. Chi dà il veleno a una persona che è stanca della vita ha preso già prima una decisione sul valore della vita. Egli valuta la vita dell'altra persona come non più degna di essere vissuta. Il suicida muore in realtà sotto il controllo di un’istanza esterna.
  I medici e gli psicologi possono valutare le conseguenze che tali processi, in cui le persone decidono il valore della vita degli altri, hanno sulla società a lungo termine. Per questo motivo, hanno una responsabilità speciale nei confronti della società per informarla degli effetti del continuo martellamento della società nel suo complesso con film, talk show e altra propaganda di massa sull'«eutanasia»: che i legami sociali e la solidarietà tra le persone, così come tutte le forze interpersonali di cui l'uomo è capace, si indeboliscono lentamente in tutti i settori. Il medico specializzato in etica Giovanni Maio descrive questo processo sociale complessivo, che sposta pericolosamente, inosservato, gli atteggiamenti di base sulla visione del mondo di tutte le persone nei confronti della vita:

«Una società che non considera il suicidio con sgomento, ma che lo dichiara un atto comprensibile, corre il rischio di mandare a morte anche altre persone, perché in questo modo si segnala che la nostra società può capire il suicidio, e lo considera addirittura ragionevole. Una società che ritiene ragionevole mettersi una mano addosso di fronte alla malattia è pericolosa. Perché spinge alla disperazione molte persone che lottano con se stesse e si disperano per sapere se la loro vita vale ancora la pena di essere vissuta, e se non sono solo un peso».19

Quando nel 1993 è iniziata la campagna sull’eutanasia, essa faceva parte di una ristrutturazione dello Stato svizzero con il concetto americano del New Public Management: «Ripensare lo Stato» significava dirigere lo Stato come un ufficio, con i relativi metodi di gestione. Ciò ha comportato, parallelamente alla campagna sull’eutanasia, la conversione degli ospedali statali in imprese redditizie. La «nuova medicina» che è stata introdotta si caratterizza nel «Careum working paper No. 2/2009» come segue:

«La capacità di affrontare il futuro richiede un cambiamento fondamentale nella relazione terapeutica. Il rapporto individuale con il medico, rispettivamente terapeuta, è dovrà normalizzarsi nella misura in cui [...] segue sostanzialmente le leggi del mondo dei beni e dei consumi. […]. La «nuova medicina» è [...] un mercato di massa molto costoso, con una domanda elevata e una crescente specializzazione e divisione del lavoro. Nell’ottica del consumatore, il paragone dei servizi è importante per la concorrenza tra i fornitori. La trasparenza è quindi un prerequisito indispensabile, soprattutto per la protezione dei pazienti. In una cura altamente standardizzata, non è una questione di artigianato o di arte del mestiere, ma di descrizioni comprensibili dei servizi forniti. Di conseguenza, una relazione terapeutica basata su una concezione individualistica e sul purismo clinico è obsoleta.»20

Subito dopo la caduta della cortina di ferro e il crollo del blocco orientale, è iniziata la campagna per la legalizzazione del consumo di droga, che ha dato vita al Platzspitz e al Letten [luoghi del traffico aperto della droga, compresa l’eroina ndt] a Zurigo e alle sue conseguenze. Allo stesso tempo, in quel periodo iniziò la ristrutturazione del sistema educativo, e poco dopo ebbe inizio la «riforma» dell'educazione infermieristica secondo gli stessi concetti. In tutti i settori si sono incontrati gli stessi concetti ideologici, gli stessi attori e le stesse fondamenta. Ernst Buschor, ad esempio, dopo la ristrutturazione del sistema ospedaliero di Zurigo si è dedicato al Dipartimento della formazione.
  Nei primi anni, la resistenza alla campagna sull’eutanasia è stata al centro delle nostre attività. Dal 1993/94 al 2000 abbiamo resistito alla campagna per «liberalizzare» l'articolo 114 del Codice penale svizzero, che sancisce l'uccisione su richiesta. Poi, a stragrande maggioranza, il Parlamento ha fermato l'iniziativa legislativa del leader socialdemocratico Franco Cavalli per introdurre «l'eutanasia attiva» secondo il modello dei Paesi Bassi. Oggi possiamo guardare con grande orgoglio a questo successo, al quale la «Società ippocratica» ha contribuito in modo molto attivo e significativo. Abbiamo visto in quel momento che il fronte del movimento anti-«eutanasia» attraversava tutti i campi politici e lo schema destra-sinistra, e abbiamo trovato, al di là di tutte le differenze ideologiche e religiose, alleati e compagni di lotta fedeli che erano consapevoli delle conseguenze a lungo termine per una società nella quale lo Stato non offre più il quadro protettivo dell'uguaglianza giuridica.21

Uguaglianza giuridica

Lo Stato di diritto si basa sull'idea fondamentale dell'antica Grecia: la pace deve essere una pace giusta e sicura. L'uomo deve usare la sua ragione e, guidato dal sentimento umano, misurare la giustizia nello Stato tramite uno standard prestatale, secondo la natura dell'uomo, per in seguito adattare il diritto a questa natura. Così l'azione politica si avvicina alla giustizia. Da ciò è nata, parallelamente con la storia del Giuramento di Ippocrate, la storia della nascita dello Stato di diritto democratico, pure durata 2500 anni.
  Nella sua forma moderna, con il monopolio dell'uso della forza, era ed è l'alternativa storica alla lotta di tutti contro tutti, al dispotismo, all'anarchia, alla legge della giungla e alla legge del più forte – a qualsiasi politica di potere. La «forma borghese» corrisponde all'uguaglianza giuridica, e può superare sia le divisioni di classe del XIX e XX secolo, come pure le divisioni religiose e l'ordine feudale dei secoli precedenti.
  L'esperienza di base dell'uomo in stato di guerra di tutti contro tutti è la paura di essere ucciso. Il mezzo per abolire la paura della morte dei cittadini tra di loro fu il monopolio di tutti i poteri nelle mani dallo Stato, vincolato dalla separazione dei poteri, dall’ordine giuridico e dai diritti umani, e «il cui potere è superiore a qualsiasi altro potere, ed è quindi capace, attraverso il super-terrore che proviene dello Stato stesso, di tenere sotto controllo la violenza che i privati usano l'uno contro l'altro, e di domare gli orrori che si infliggono a vicenda».22 I nemici della guerra di tutti contro tutti «accettano di consegnare le loro armi allo Stato per eliminare la minaccia reciproca, per usarlo come garanzia della loro sicurezza reciproca e per sottomettersi ad esso. [...] le persone non possono e non vogliono più risolvere i loro conflitti con la violenza fisica. La rinuncia alla violenza e l'obbedienza (alla legge) creano il cittadino».23
  Così, nel primo periodo moderno europeo, vediamo «la nascita dello Stato moderno partendo dalle sofferenze delle guerre civili del XVI e XVII secolo». È «il superamento istituzionale della guerra civile». Stabilisce la pace civile istituendo il monopolio della violenza fisica legittima e priva i cittadini del diritto e del potere di essere giudici ed esecutori del giudizio per la propria causa»24. Ma questa è anche l'essenza dell'eutanasia, dove l'«angelo della morte» presume essere «giudice ed esecutore del giudizio per la propria causa».
  L'ordine statale della pace non conosce male peggiore della morte. Il suo scopo è la protezione della vita, dell'integrità fisica e della libertà.25 Nello Stato protettore, tutte le corporazioni professionali sono chiamate a realizzare lo scopo dello Stato, la protezione della vita. Tuttavia, questo Stato può a sua volta diventare oggetto di paura da parte dei cittadini se si discosta dal suo scopo. Questo è il significato dei diritti umani. Essi sono intesi come una protezione del cittadino contro il potere prepotente dello Stato.
  Questo modello di stato è una struttura fragile che deve essere vissuta consapevolmente e, per di più, negli stati odierni è sviluppata solo in modo imperfetto. «Pertanto il pensiero politico non ha ancora trovato un modello capace di sostituirlo, senza scivolare nel caos».26
  Queste considerazioni filosofiche-giuridiche da una parte e psicologiche-sociali dall’altra sono due facce della stessa medaglia. Torniamo un attimo indietro: chi decide di avvelenare un altro essere umano in precedenza ha già fatto una valutazione: questa vita che mi trovo davanti non ha alcun valore. Altrimenti non dà il veleno al suo prossimo, ma lo calma, lo aiuta e lo accompagna, anche nel suo momento più difficile. Questa è l'autodeterminazione caratterizzata dal sentimento della compassione umana, di cui l'uomo ha bisogno «fino all'ultimo respiro» e che grazie al buonsenso deve avere. Contrariamente a ciò tuttavia l’«assistenza al suicidio», vuole un’«autodeterminazione che provochi l'ultimo respiro».27
  Come mai si è arrivati al punto che nell'unica democrazia diretta al mondo, l'uccisione dei malati sia stata messa in discussione e l'uguaglianza dei diritti sia stata abbandonata, pur sapendo che toglieva la paura dell'uomo nei confronti del suo prossimo, soprattutto del medico? Perché il dibattito sull'«eutanasia» svizzera è iniziato in concomitanza con l'introduzione del New Public Management? E' una pura coincidenza che al World Economic Forum 2000 i leader delle nazioni industriali occidentali e dell'alta finanza, i rappresentanti della Banca Mondiale, del FMI e degli investitori globali abbiano discusso insieme al filosofo dell’«eutanasia» Peter Singer quanto si dovrebbe spendere in futuro per la salute? E questo in un momento in cui il mondo si stava di nuovo armando e si stavano – e stanno – preparando le guerre successive! Il tentativo di introdurre l'«eutanasia» fa parte dei piani previsti in quegli incontri. Volevo solo accennare brevemente a questi aspetti. Si tratta di una questione a sé stante.
  Dopo più di venticinque anni, le forze di difesa morali sono danneggiate in molti ambiti della società. Il compito è diventato più arduo – ma è sempre lo stesso: se nello Stato stesso si manifestano dei processi che minacciano la protezione della vita dei suoi cittadini, bisogna fare luce sulla garanzia di vita del malato e sull’obiettivo dello stato di diritto democratico. Recentemente si è tornati a riflettere sulla Conditio humana: in primo luogo, che «l'autonomia umana è sempre un’autonomia di relazione» («l'autodeterminazione ha bisogno di un interculatore».28) In secondo luogo, il termine «suicidio di bilancio», coniato dallo psichiatra Alfred Hoche nel 1918 come un atto deliberato di libero arbitrio di persone sane,29 che è stato riutilizzato dal nuovo movimento di eutanasia a partire dagli anni '70, rimane molto controverso tra i psichiatri30, i gerontologi e i gerontopsichiatri, che insistono nel mettere in guardia da questo fenomeno.31 Le nuove «controproposte per una [...] nuova cultura della cura [...] dovrebbero essere discusse con urgenza».32 In terzo luogo, la dubbia speranza che, permettendo l'eutanasia, i suicidi crudeli si «trasformino» in suicidi assistiti è amaramente smentita dalla realtà.33 Conosciamo il «contagio sociale» del comportamento suicida reale e fittizio («effetto Werther»).34 I suicidi copiati possono essere evitati!35  I media possono «prevenire i suicidi se riferiscono di persone suicide che hanno trovato una via d'uscita dalla loro situazione d'emergenza e sono state in grado di superare la loro suicidalità».36
  Tutto questo è sufficiente per rimanere nella dinamica che Ernst Bloch una volta ha definito «docta spes», «la speranza appresa».  •



1 La società medica olandese KNMG e i giornali governativi olandesi usano ufficialmente il termine «eutanasia», usato anche dai nazionalsocialisti: «L'eutanasia è definita come la cessazione attiva della vita su richiesta volontaria e ben informata di un paziente». [KNMG. Eutanasia in Olanda. 16 agosto 2017. www.knmg.nl/actualiteit-opinie/nieuws/nieuwsbericht/euthanasia-in-the-netherlands.htm (visitato il 3 marzo 2019)]. Degno di nota: nei testi ufficiali olandesi, il «suicidio assistito» è chiamato «eutanasia» ed è, secondo la definizione di cui sopra, una «cessazione attiva della vita», cioè un omicidio!
2 Cfr. anche: «Freispruch für ärztliche Hilfe zur Selbsttötung». In: Neue Zürcher Zeitung del 1.10.1993
3 Ci sono serie riserve storiche sul termine «eutanasia», perché la legge nazista sull'«eutanasia», che alla fine non è entrata in vigore, aveva il termine nel suo titolo: «Legge sull'eutanasia per malati incurabili». In: Nestor, Karen et al. Hilfe beim Sterben, Hilfe zum Sterben oder Hilfe zum Leben? In: Forum medico svizzero - Schweizerisches Medizin-Forum 2017; 17(35), pag. 738-743, pag. 738. Il testo della proposta di legge nazista del 1940 si trova in: Roth, Karl Heinz (Ed.). Erfassung zur Vernichtung. Berlino 1984. pag. 177, cfr. anche: pag. 121, 130 ss., 143.
4 Cfr. van der Maas, P. J.; van der Delden, J. J. M.; Pijnenborg, L. Medische beslissingen rond het levenseinde. Het oderzoek voor de Commissie Oderzoek Medische Braktijk inzake Euthanasie. Sdu Uitgrverij Plantijnstraat, 's-Gravenhage 1991. ISBN 90 39 901244 [= «Rapporto Remmelink». Traduzione inglese: Euthanasia and other Medical Decisions Concerning the End of Life. Amsterdam 1992]
Cfr. anche: van der Wal, G. & van der Maas, P. J. Euthanasie en andere medische beslissingen rond het levenseinde. L'Aia: SDU 1996. Cfr. anche: Gunning, Karel F. Human rights and Euthanasia in the Netherlands. [Manoscritto in possesso dell'autore: Confronto tra i dati ufficiali dell'eutanasia olandese del 1990 e del 1995]. Vedi anche: Fenigsen, Richard. The Report of the Dutch Government Committee on Euthanasia, Norfolk 1991
5 von Weizsäcker, Viktor. Arzt und Kranker I. 3a edizione ampliata. Stoccarda 1949, pag. 7ss.
6 Idem, pag. 89
7  Idem, pag. 86
8 Idem.
9 Spaemann, Robert. In: Stettberger, Herbert (Editore). Berlino 2017, pp. 197-208, pag. 202.
10 Cfr. von Uexküll, Thure. Psicosomatica. Citato in: Eser, Albin (Editore). Lexikon Medizin, Ethik, Recht. Freiburg/Br. 1992; Holt-Lunstad, Julianne. Testimony before the US Senate Aging Committee. 27. April 2017. [URL: www.aging.senate.gov/imo/media/doc/SCA_Holt_04_27_17.pdf (visitato il 16 maggio 2019)]; Holt-Lunstad, Julianne et al. Social Relationships and Mortality Risk: A Meta-analytic Review. In: PLoS Med 7(7) 2010: e1000316 [URL: journals.plos.org/plosmedicina/articolo/file (visitato il 16 maggio 2019)] Maio, Giovanni. Die heilende Kraft der Zuwendung in der Medizin. In: Ehm, Simone; Giebel, Astrid; Lilie, Ulrich; Prönneke, Rainer (Editore). Geistesgegenwärtig behandeln. Existentielle Kommunikation, Spiritualität und Selbstsorge in der ärztlichen Praxis. Neukirchen 2016, pag. 57-70; idem. Die heilende Kraft der Begegnung. In: Zeitschrift für Komplementärmedizin 2013, 5; 5, S. 58–62; idem. Therapie als Hilfe zur Annahme seiner selbst: Über die heilsame Kraft der Begegnung. In: Balint Journal 2013. 14; 2, pagg. 33-39.
11 Cfr. Ringel, Erwin. Der Selbstmord. Abschluss einer krankhaften Entwicklung. Wien/Düsseldorf 1953
12 Cfr. Ringel, Erwin. Das präsuizidale Syndrom – medizinische, soziale und psychohygienische Konsequenzen. In: Esagono «Roche». 1985;13(1), S. 8–14
13 Cfr. Dührssen, Annemarie. Die biographische Anamnese unter tiefenpsychologischem Aspekt. Göttingen 1981. Cfr. anche: Nestor, Moritz; Vögeli, Erika. Zum Dreigenerationenmodell. 1998. URL: https://naturrecht.ch/wp-content/uploads/1998-MZE-Erika-Moritz-Dreigenerationenmodell.pdf  (visitato il 7 marzo 2019). Cfr. anche: Nestor, Moritz. 13 Thesen: Anthropologische Grundlagen der Familie. 1999. URL: naturrecht.ch/13-thesen-anthropologische-grundlagen-der-familie/ (visitato il 10.marzo 2019). Cfr. anche: Nestor, Moritz. Worin besteht der Sinn des Alters? 1997. URL: naturrecht.ch/worin-besteht-der-sinn-des-alter/ (visitato il 10 marzo 2019) Guardini, Romano. Die Lebensalter. Ihre ethische und pädagogische Bedeutung. Würzburg 1953
14 Cfr. anche: Nestor, Moritz. In schwierigen Zeiten einen menschlichen Standpunkt gewinnen. Was uns geschichtliche Erfahrung, Naturrecht, Anthropologie und Psychologie dazu zu sagen haben – eine Annäherung. In: Zeit-Fragen Nr. 12 del 23.7.2017
15 Cfr. il capitolo «Die Meinung über sich und über die Welt», in: Adler, Alfred. Sinn des Lebens. Lipsia 1933
16 Cfr. capitolo «Der anthropologische Aspekt: Gemeinschaftsgefühl als ursprüngliche Gegebenheit». In: Kaiser, Annemarie. Das Gemeinschaftsgefühl bei Alfred Adler. Ein Vergleich mit Befunden aus Entwicklungspsychologie, Psychopathologie und Neopsychoanalyse. Tesi di laurea per il conseguimento del dottorato della Facoltà di Filosofia I dell'Università di Zurigo 1977, pag. 12 e segg.
17 Cfr. Marker, Rita. Deadly Compassion: The Death of Ann Humphry and the Truth about Euthanasia. Morrow/Harper/Collins/Kirkus 1993. Cfr. anche: Müller-Frank, Stefanie. Sterbehilfe. Die Fragen der Angehörigen. In: Deutschlandfunk Kultur, 13 febbraio 2017. URL: www.deutschlandfunkkultur.de/sterbehilfe-die-fragen-der-angehoerigen.976.de.html (visitato il 3 marzo 2019).
18 Cfr. IKON. Tod auf Verlangen. Fernsehfilm. Niederlande 1994. cfr. anche: Goddar, Jeannette. «Tod auf Verlangen». In: TAZ, 12 dicembre 1994 [URL: www.taz.de/!1529588/ (visitato il 3 marzo 2019)].
19 Maio, Giovanni. Medizin ohne Mass? Stoccarda 2014, pag. 175
20 Panfil, Eva Maria; Sottas, Beat. Careum working paper 2. Woher kommen die Besten? Globaler Wettbewerb in der Ausbildung – wer bildet zukunftsfähige Health Professionals aus? Careum 2009, pag. 8
21 Bastian, Till (edizione) Denken, schreiben, töten. Zur neuen Euthanasie-Diskussion und zur Philosophie Peter Singers. Stoccarda 2000. Fenigsen, Richard. The Report of the Dutch Government Committee on Euthanasia, Norfolk 1991. Dörner, Klaus. Tödliches Mitleid. Freiburg/Basilea/Vienna 1993. Idem. Leben und sterben, wo ich hingehöre. 5a edizione, Neumünster 2007. Spaemann, Robert; Hohendorf, Gerrit; Oduncu, Fuat S. Vom guten Sterben. Warum es keinen assistierten Tod geben darf. Freiburg/Basilea/Vienna 2015. Idem & Fuchs, Thomas. Töten oder sterben lassen? Freiburg/Br. 1997. Hoffmann, Thomas; Knaup, Marcus (edizione). Was heisst in Würde sterben. Wider die Normalisierung des Tötens. Wiesbaden 2015. Krause Landt, Andreas. Wir sollen sterben wollen. Warum die Mitwirkung am Suizid verboten werden muss. Bauer, Axel W. Todes Helfer. Warum der Staat mit dem neuen Paragraphen 217 StGB die Mitwirkung am Suizid fördern will. Schneider, Reinhold. Über den Selbstmord (1947). Drei Texte. Waltrop/Lipsia 2013. Kruse, Andreas; Maio, Giovanni; Althammer, Jörg. Humanität einer alternden Gesellschaft. Paderborn 2014. Kruse, Andreas. Lebensphase hohes Alter. Wiesbaden 2015. Verletzlichkeit und Reife. Springer Germania 2017. Maio, Giovanni. Den kranken Menschen verstehen. Freiburg/Br. 2015. Bollig, Georg; Heller, Andreas; Völkel, Manuela. Letzte Hilfe. Umsorgen von schwer erkrankten und sterbenden Menschen am Lebensende. 2a Edizione, Esslingen 2018. Christoph, Franz. Tödlicher Zeitgeist. Colonia 1980. Hillgruber, Christian. Die Bedeutung der staatlichen Schutzpflicht für das menschliche Leben und der Garantie der Menschenwürde für eine gesetzliche Regelung der Suizidhilfe. In: Hoffmann, Thomas; Knaup, Marcus (Edizione). Was heisst in Würde sterben. Wider die Normalisierung des Tötens. Wiesbaden 2015, pagg. 102–115. Bauer, Axel W. Notausgang assistierter Suizid? Die Thanato-politik in Deutschland vor dem Hintergrund des demographischen Wandels. In: Hoffmann, Thomas; Knaup, Marcus (Edizione). Was heisst in Würde sterben. Wider die Normalisierung des Tötens. Wiesbaden 2015, pagg. 48–78. Beckmann, Rainer; Kaminski, Claudia; Löhr Mechthild (Edizione) Es gibt kein gutes Töten. Waltrop/Leipzig 2015. Woelki, Rainer Maria Kardinal; Hillgruber, Christian; Maio, Giovanni; von Ritter, Christoph; Spieker, Manfred. Wie wollen wir sterben? Paderborn 2016. Bruns, Theo; Penselin, Ulla, Sierck, Udo (Edizione). Tödliche Ethik. Hamburg 1990. Bloodworth M., Bloodworth N., Wesley E. A template for non-religious-based discussions against euthanasia. In: The Linacre Q. 2015;82(1), pagg. 49–54. Sulmasy, D. P.; Travaline, J. M.; Mitchell, L. A.; Ely, E. W. Non-faith-based arguments against physician-assisted suicide and euthanasia. In: Linacre Q. 2016;83(3), pagg. 246–257
22 Isensee, J. Das Grundrecht auf Sicherheit, Berlin 1983, pag. 3
23 Idem
24 Idem pag. 4
25 Idem pag. 5
26 Idem pag. 5
27 Cfr.: Mieth, Dietmar. «Sterbehilfe ist nicht zulässig». Rp-online.de, intervista del 30. luglio 2008. URL: rp-online.de/leben/gesundheit/news/sterbehilfe-ist-nicht-zulaessig_aid-11621643 (visitato il 3 marzo 2019)
28vCfr.: Flyer Veranstaltungszyklus Autonomie in der Medizin. URL: www.nek-cne.ch/fileadmin/nek-cne-dateien/Themen/Symposium_NEK-ZEK/NEK-ZEK_2016_Flyer_D.pdf (visitato il 3 dicembre 2016)
29 Cfr.: Hoche, Alfred. Die Freiheit des Willens vom Standpunkte der Psychopathologie. Wiesbaden 1902 [= Loewenfeld, L. & Kurella, H. (Edizione). Grenzfragen des Nerven- und Seelenlebens. Einzeldarstellungen für Gebildete aller Stände. Band XIV.] Cfr. Anche: Bilanzsuizid. In: de.wikipedia.org/wiki/Bilanzsuizid (visitato il 5 marzo 2019) Cfr. anche: Eser, Albin. Erscheinungsformen von Suizid und Euthanasie – Ein Typisierungsversuch. In: Eser, Albin (Edizione). Suizid und Euthanasie als human- und sozialwissenschaftliches Problem. Stuttgart 1976, pagg. 4–11
Il psychiatra Alfred Erich Hoche e il giurista Karl Binding nel 1920 hanno pubblicato l’opuscolo «Die Freigabe der Vernichtung lebensunwerten Lebens». Nello stesso essi esaltano il suicidio come morte «autodeterminata», propugnano l’«aiuto al suicidio» per «malati terminali» e l’uccisione di malati e disabili che definiscono come «gusci umani che non avrebbero più nessun valore per la società. L’opuscolo è servito ai nazionalsocialisti per l’«eutanasia». 
30 Bochnik, H. J. Suizid und Sterbehilfe. Zur Frage der freien Willensbestimmung in Verzweiflung. In: Psycho. 1992; 8, pagg. 736–43. Ernst, Cecil. Exposé zu neueren epidemiologischen Studien zum Suizid. 1999, pag. 5. Klesse, Raimund. Der Todeswunsch aus psychiatrischer Sicht. In: Imago Hominis. 2003; 10(1), pagg. 37–44. Onkay Ho, A. Suicide: Rationality and Responsibility for Life. Can J Psychiatry. 2014;59(3), p. 141–7. Leeman, C. P. Distinguishing among irrational suicide and other forms of hastened death: implications for clinical practice. In: Psychosomatics. 2009; 50(3), pagg. 185–97
31 Suizidbeihilfe für alte Menschen. Positionspapier der SGG SFGG SGAP. Bern 2014. URL: www.sgg-ssg.ch/cms/media/Positionspapiere/Suizidbeihilfe_Positionspapier_SSGG_SFGG_SGAP_Stand_24-11-2014_def.pdf (visitato il 3 dicembre 2016). Stoppe, G.; Kohn. J.; Schmugge, B.; Suter, E.; Wiesli, U. Positionspapier «Suizidprävention am Alter». URL: www.public-health.ch/logicio/client/publichealth/file/mental/Positionspapier_Suizidpravention_im_Alter__D_def.pdf (visitato il 3 dicembre 2016). Ruckenbauer, G.; Yazdani, F.; Ravaglia, G. Suicide in old age: illness or autonomous decision of the will. In: Arch Geront Geriatr Suppl. 2007; 1, pagg. 355–358
32 Nestor, Karen et al. Hilfe beim Sterben, Hilfe zum Sterben oder Hilfe zum Leben? In: Swiss Medical Forum – Schweizerisches Medizin-Forum 2017; 17(35), pagg. 738–743, pag. 741. Cfr. Bauer, Axel W. Notausgang assistierter Suizid? Die Thanato-politik in Deutschland vor dem Hintergrund des demographischen Wandels. In: Hoffmann, TS; Knaup, M. Was heisst: In Würde sterben? Wider die Normalisierung des Tötens. Springer. 2015, pagg. 49–79; Maio, Giovanni. Gutes Sterben erfordert mehr als die Respektierung der Autonomie. In: Deutsche Zeitschrift für Onkologie 2011; 41, pagg. 129–132; idem. Eine neue Kultur der Sorge am Lebensende. In: pflegen:palliative 22/2014, pagg. 8–11; idem. Grundelemente einer Care-Ethik. In: Jahrbuch für Recht und Ethik 2016, 24, pagg. 241–251; idem. Der Krebs als Brennglas des Lebens. Für eine Ethik der Zuwendung in der Onkologie. In: Deutsche Zeitschrift für Onkologie 2016, 48; 2, pagg. 72–75; Ricoer, Paul. Lebendig bis in den Tod. Fragmente aus dem Nachlass. Hamburg 2011
33 Jones, D. A. & Paton, D. How. Does Legalization of Physician-Assisted Suicide Affect Rates of Suicide? In: Southern Medical Journal. 2015;108(10), pagg. 590–604. Sterbehilfe und Suizid in der Schweiz 2014. URL: www.bfs.admin.ch/bfs/de/home/statistiken/gesundheit/gesundheitszustand.assetdetail.1023143.html (visitato il 3 dicembre 2016)
34 Ziegler, W. & Hegerl, U. Der Werther-Effekt. In: Nervenarzt. 2002;73, pagg. 41–49
35 Ziegler W. & Hegerl U. Der Werther-Effekt. In: Nervenarzt. 2002;73, pagg. 41–49. Scherr, S. & Steinleitner, A. Zwischen dem Werther- und Papageno-Effekt. In: Nervenarzt. 2015; 86, pagg. 557–565. WHO. Preventing suicide. A ressource for medial professionals. URL: www.who.int/mental_health/prevention/suicide/resource_media.pdf (visitato il 3 dicembre 2016)
36 Nestor, Karen et al. Hilfe beim Sterben, Hilfe zum Sterben oder Hilfe zum Leben? In: Swiss Medical Forum – Schweizerisches Medizin-Forum 2017; 17(35), pagg. 738–743, pag. 742. Cfr.: Niederkrotenthaler, T.; Voracek, M.; Herberth, A.; Till, B.; Strauss, M.; Etzersdorfer, E. et al. Role of media reports in completed and prevented suicide: Werther v. Papageno effects. In: BJ Psych. 2010; 197, pagg. 234–243. Cfr. anche: Niederkrotenthaler, T.; Voracek, M.; Herberth, A.; Till, B.; Strauss, M.; Etzersdorfer, E. et al. Papageno v Werther effect. In: BMJ. 2010; 341

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(Traduzione Discorso libero)

M.A. e lic. phil. Moritz Nestor: studi in tedesco e filosofia (Freiburg/Br.) e psicologia e pedagogia (Zurigo); formazione post-laurea in psicoterapia e studi complementari in psicopatologia degli adulti. Ha lavorato per molti anni come insegnante di tedesco come lingua straniera, oggi come psicologo in uno studio privato. Redattore del «Forum Naturrecht und Humanismus» (www.naturrecht.ch); direttore della rivista «Personale Psychologie und Pädagogik»; fondatore e membro del consiglio direttivo della «Hyppokratische Gesellschaft Schweiz»; fondatore e membro del consiglio direttivo dell’«Institut für Personale Humanwissenschaften und Gesellschaftsfragen IPHG»; ampia atti- vità didattica ed editoriale.

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