Lo smartphone – un regalo o un progetto comune?

di Eliane Perret, ortopedagogista e psicologa

Se osserviamo i cambiamenti sociali avvenuti negli ultimi decenni, la digitalizzazione è certamente uno dei fattori che più colpisce. Originariamente destinata allo scambio scientifico, gli apparecchi digitali oggi invadono in gran parte la nostra vita. Benché non fossero stati creati per i bambini e i giovani, questi ultimi oggi vi sono confrontati sia nella loro vita privata che a scuola. Il seguente articolo intende stimolare la riflessione su come possiamo abilitare la nostra prossima generazione ad un impiego emancipato degli apparecchi digitali e su quale sia il nostro compito e la nostra responsabilità di adulti.

Recentemente ho avuto una conversazione con una collega sui nostri allievi. Come accade spesso, abbiamo finito per parlare dell’uso sovente eccessivo e problematico degli apparecchi digitali da parte dei nostri figli e giovani. Abbiamo riflettuto su come e a quale età vogliamo permettere loro l’accesso. La mia collega stava decidendo se regalare al figlio tredicenne uno smartphone al posto del cellulare senza accesso a Internet. Quello che mi ha detto a tal proposito mi ha fatto riflettere.

«In effetti, avevamo deciso di...»

«In realtà, avevamo deciso di non comperare uno smartphone per nostro figlio fino a quando non avesse compiuto i 14 anni. Ma guarda caso… Quando vuole essere convincente e persuasivo sa far uso di tutto il suo fascino. Così è stato anche questa volta. Ha insistito in tono leggermente di rimprovero che tutti i suoi amici – tranne lui – avevano uno smartphone. Cosa avrei dovuto rispondere? Mio marito ed io vogliamo assumerci le nostre responsabilità in materia digitale nei confronti dei nostri figli. Aveva paura di essere escluso da qualcosa di (presumibilmente) importante, nostro figlio? Si sentiva escluso (giustamente?) dalla cerchia dei suoi coetanei? FOMO (Fear of Missing out), come si usa dire in lingua moderna?
  Evidentemente non posso negare che dopotutto viviamo nell'era dei media, Da tempo per me la questione non è più di sapere se uno smartphone sia buono o cattivo, ma piuttosto se un bambino abbia la maturità psichica necessaria per usare in modo sensato le possibilità che offre questo apparecchio».

In giro con WhatsApp, TikTok, SnapChat, YouTube, ecc.

Le riflessioni della mia collega mi sono sembrate molto differenziate, e ho trovato particolarmente degna di considerazione l'ultima domanda. Quasi tutti i miei allievi hanno già uno smartphone, compresi i più piccoli. Sono su WhatsApp, TikTok, Snapchat e Youtube, spesso per molte ore a settimana. Questo li porta a infrangere i limiti o a litigi a più riprese che si ripercuotono a scuola e disturbano l'apprendimento comune. L'altro giorno abbiamo avuto a che fare con un caso di mobbing, svoltosi soprattutto online. A ragione, la professoressa Françoise Alsaker, pioniera nella ricerca sul mobbing, nel corso di un programma radiofonico aveva recentemente sottolineato come le piattaforme dei social media rappresentino un fattore importante nella scaturazione e perpetuazione del bullismo. Ero perciò curiosa di sapere a quale decisione fosse giunta la mia collega.

Considerazioni importanti

«Nostro figlio voleva assolutamente uno smartphone. Egli sa che sovente è più facile imporre un suo desiderio rivolgendosi a me che non a suo padre. Il suo fascino può essere irresistibile. Tuttavia, era chiaro che io e mio marito avremmo deciso insieme. Abbiamo ponderato accuratamente se nostro figlio fosse abbastanza maturo. Gli avevamo trasmesso le conoscenze e i valori sociali di cui avrebbe avuto bisogno per utilizzare correttamente uno smartphone? Aveva un sincero interesse per i suoi simili e per il mondo, e disponeva della necessaria compassione per poter navigare in rete in modo equilibrato e critico? Perché – per noi era chiaro – la competenza mediatica non è qualcosa che i bambini acquisiscono attraverso gli apparecchi elettronici, ma devono svilupparla in seno alla famiglia. Eravamo stati un modello per lui nell’uso dei nostri apparecchi digitali? Durante la cena e la sera i nostri cellulari erano spenti, rinchiusi in una scatola nel guardaroba e perciò non eravamo raggiungibili. Di tanto in tanto, ci prendevamo un fine settimana senza media. Abbiamo perciò convenuto che se avessimo davvero dato a nostro figlio uno smartphone, lo avremmo fatto solo con il rispetto di chiare regole ».
  Mi chiedevo se anche tutti i genitori dei nostri allievi avessero fatto questi ragionamenti. Secondo lo studio JAMES del 2018, in Svizzera il 94% dei giovani ha un profilo su almeno una rete sociale. Nel gennaio 2020 in Svizzera c'erano 10,44 milioni di collegamenti mobili e 4,5 milioni di utenti dei social media. Quanti di questi appartenevano a bambini e giovani? La maggior parte di loro sa molto bene come utilizzare le piattaforme dei social media, ma la competenza del loro uso significa molto di più che battere sui tasti e strisciare. La mia collega continuò con le sue considerazioni. 

Lo smartphone - un regalo?

«Ci siamo ricordati di una serata sul tema digitale tenuta alla scuola di nostro figlio. Era passato un po' di tempo, ma nonostante i progressi tecnologici, le informazioni di base per noi erano importanti. In quell’occasione il relatore ci chiese: ‹Avete il diritto di regalare al vostro bambino un cellulare?› Quanto siamo rimasti sorpresi, noi e la maggior parte degli altri genitori, a scoprire che questo non è possibile. Sì, dargli l’apparecchio è possibile, ma affinché questo funzioni, bisogna firmare un contratto, e nostro figlio per far questo era troppo giovane. Così il suo smartphone avrebbe dovuto essere registrato a nome mio o di mio marito, a seconda di chi avrebbe fornito i suoi dati personali e attivato la carta SIM. Nostro figlio non poteva nemmeno firmare il contratto con la compagnia telefonica, perché non aveva ancora 18 anni. Naturalmente, ci sono vari modi per aggirare queste regole con le carte prepagate e i pacchetti. Ma volevamo elaborare con nostro figlio una soluzione trasparente e onesta. Cioè, avremmo prestato lo smartphone a nostro figlio. Sul piano giuridico e, se necessario, anche finanziariamente ne avremmo tuttavia assunto la piena responsabilità.

smartphone preso in prestito con un contratto

In occasione di quella serata per i genitori, lo specialista dei media ci aveva consigliato di stipulare un contratto con il giovane utente dello smartphone, in cui le condizioni per il prestito dell’apparecchio sono stabilite in anticipo. Mi chiedo quanti genitori, oltre a noi, avranno approfittato di questa opzione. Ci aveva anche fornito un contratto modello, che abbiamo sortito dal fondo del cassetto. In seguito abbiamo trovato su internet un sito molto interessante che ci ha permesso di redigere un contratto di questo tipo. Dopo aver coinvolto nostro figlio nelle ulteriori riflessioni, abbiamo redatto il contratto assieme a lui. Si è trattato di un primo progetto comune con lui che ha dato luogo a molte discussioni. Si trattava dell'uso prudente dello smartphone, della durata di uso, degli aspetti finanziari, del comportamento e del linguaggio in rete, del download di applicazioni e di siti web che per lui sono tabù. Inoltre egli doveva spegnere e riporre nella nostra scatola comune lo smartphone durante lo studio e di notte. Quindi era chiaro: lo smartphone solo a queste condizioni! Doveva sapere: tutto quello che avrebbe fatto con il suo smartphone, lo avrebbe fatto a nome di noi genitori o a nome di chi è registrato sotto il numero di telefono. Ci stavamo assumendo la piena responsabilità giuridica, ad esempio, in caso di accuse di insulto, mobbing, sexting, ecc. Avremmo avuto quindi anche il diritto di vedere in ogni momento cosa faceva con il suo smartphone. Nostro figlio doveva accettarlo e sapere che l’apparecchio non consentiva riserve per la sfera privata e per confidenze. Non era un diario elettronico. Conversazioni importanti e scambi confidenziali avrebbe dovuto realizzarli con appuntamenti. Volevamo anche che continuasse ad essere in contatto con noi e che non ignorasse le nostre chiamate. Inoltre, avrebbe anche dovuto contribuire finanziariamente con i suoi soldi per le piccole spese. Il tutto non molto facile per nostro figlio spesso un po' ribelle! Comprensibilmente era un po' costernato, e si è preso molto tempo per rileggere il contratto con attenzione, perché per lui era chiaro che saremmo stati coerenti. Poi ha firmato».

Le fastidiose condizioni generali

La mia collega e suo marito avevano preso una decisione. Loro figlio avrebbe ricevuto uno smartphone. «Abbiamo comprato un apparecchio d’occasione in un negozio dell’usato. Nostro figlio ha arricciato un po' il naso, un iPhone 11 sarebbe stato il suo sogno (per l'iPhone 12 avrebbe perfino aspettato ancora un po' di tempo). Noi pensiamo che sperava di fare impressione sui suoi coetanei. Da quel momento mio marito, tecnicamente più esperto, ha diretto le trattative. La prima cosa da discutere sono state le condizioni generali d'uso. Erano redatte in gergo giuridico difficile da leggere, ma si trattava pur sempre di un contratto. Mentre guardavo ‹i miei uomini› seduti insieme per due sere sul divano a leggere il testo del contratto, ho pensato con la coscienza un po’ sporca alle molte volte che, scaricando un'applicazione, avevo cliccato ‹accetto› sui modi d’uso, senza leggere una parola e senza sapere a cosa avessi detto di sì. Chiesi più tardi a mio marito se tutto il lavoro avesse senso: senza accettare le condizioni generali l'uso del telefonino non sarebbe comunque stato possibile. La sua risposta mi ha fatto riflettere: ‹Dovremmo forse insegnare a nostro figlio a firmare contratti senza leggerli? Un contratto di locazione, di lavoro o di vendita? Dopo tutto abbiamo una responsabilità›, ha detto».

Garantire la protezione dei dati - ma come?

«Quando poi è giunto il momento, naturalmente per prima cosa nostro figlio ha voluto installare WhatsApp per avviare una chat di gruppo nella sua classe. Ma attenzione, da quale età questo è possibile? Era ancora troppo giovane. E anche se nella maggior parte dei casi i provider non controllano i dati personali dell'utente, non volevamo incoraggiarlo a mentire e a truffare. In seguito ‹i miei due uomini› si sono occupati delle regole sulla protezione dei dati della piattaforma web. Cosa succede con i dati personali? Possono essere condivisi con terzi e utilizzati per la pubblicità personalizzata. Eccoci confrontati con una nuova lezione di competenza mediatica. C'erano alternative? Così si siamo imbattuti nel provider svizzero Threema, che sapeva fare tutto ciò che offriva WhatsApp; non c'era traccia di dati e tutte le comunicazioni erano criptate da cima a fondo. Non è stato facile convincere gli amici di mio figlio a passare da WhatsApp a Threema perché ‹tutti sono su WhatsApp ... ›. Ma alla fine hanno capito che era logico anche per loro di non volersi mettere nei guai in futuro con dei contributi che avevano messo in rete nella loro esuberanza giovanile. Dopotutto, le tracce su internet sono indelebili, e non vi è alcun controllo su ciò che accade con i dati pubblicati. Risultò facile pagare un’unica piccola somma per la nuova piattaforma, rinunciando all’offerta gratuita di WhatsApp. Quindi, come vedi, c'erano e ci sono ancora molti ostacoli da superare».

Avere la necessaria maturità psichica

La conversazione con la mia collega mi è rimasta in testa a lungo. Cosa avrei deciso? E cosa significa realmente «competenza mediatica», una parola alla moda, usata in modo inflazionistico e richiesta nei piani di studio? Nel frattempo, i «media» e l’«informatica» sono stati integrati come materie scolastiche. Tuttavia, spesso il loro apprendimento si riduce ad imparare il funzionamento dei relativi apparecchi. Le altre questioni legate al loro uso di solito restano nell’ombra. Hanno la maturità psichica necessaria per valutare cosa devono e non devono fare con questi apparecchi? Sono in grado di valutare in modo critico come muoversi nello spazio digitale e quali rischi non dovrebbero correre? Hanno considerato quali conseguenze psicologiche, sociali, etiche e anche giuridiche potrebbero avere le loro azioni? E hanno un'idea di cosa significhi la protezione della sfera privata e dell’intimità? Spesso anche noi adulti non siamo consapevoli di queste connessioni. Queste competenze, tuttavia, possono essere acquisite solo nella vita reale e non certo in quella virtuale.

Guidare l’auto all’asilo?

Naturalmente, gli apparecchi digitali fanno ormai parte della vita professionale quotidiana. Ma devono per questo essere in grado di utilizzarli autonomamente anche i bambini piccoli? A questo punto mi sono ricordata di un'osservazione della mia collega che le era rimasta della serata dei genitori di cui sopra. «In quella serata dei genitori, una delle argomentazioni del relatore mi è sembrata sensata. Ha dato l'esempio della guida di un'auto: naturalmente le auto fanno parte della nostra vita quotidiana, e non lo neghiamo con l’argomento che i nostri figli fino ai 18 anni non possono ottenere la patente. Ma non li lasciamo guidare, li portiamo in auto con noi con le necessarie precauzioni. Con noi imparano per la prima volta come comportarsi nel traffico stradale, quali sono le regole giuridiche e quali i pericoli».

Istruzioni accurate

Giusto, ho pensato. È la stessa cosa come con gli apparecchi collegati con l’internet. Perché non esplorare con il bambino le possibilità che possono esserci utili? La mia collega aveva ascoltato questo consiglio dell’esperto mediatico e aveva mostrato al figlio, per esempio, come usare un tutorial per imparare a fare un bricolage o una riparazione; come usare un dizionario o informarsi su un determinato tema e come contrastare la pubblicità indesiderata. Quindi sapeva già molte cose e aveva già conoscenza ed esperienza preliminari per l'utilizzo di uno smartphone. Ma il modo generale del suo impiego sarà comunque una sfida comune. 

Esercitare il dovere (digitale) di assistenza

Noi adulti in questi ambiti siamo più in vantaggio sui nostri bambini. Abbiamo più esperienza di vita e siamo in grado di valutare meglio le conseguenze delle nostre azioni. Possiamo insegnare loro che internet non va usato senza scrupoli e che la protezione della nostra sfera privata e della nostra intimità è un bene importante per la convivenza umana. Dovremmo anche essere in grado di attribuire agli apparecchi un posto adeguato nella nostra vita. Purtroppo, però, il tempo passato con gli apparecchi digitali sta diventando un problema sempre più grande, soprattutto per i giovani. Non per niente la dipendenza dai media è stata inclusa nel DSM 5, il manuale delle malattie psichiatriche, come «Internet Gaming Disorder» e le relative offerte terapeutiche sono in aumento. Quindi, chiunque fornisce al proprio figlio un apparecchio internet e in seguito non se ne occupa, viola il proprio dovere (digitale) di assistenza. Fornire uno smartphone e altri apparecchi elettronici significa intraprendere un progetto comune.

I «digitali ingenui» e i «digitali nativi»

Spesso i nostri bambini e i nostri giovani sono chiamati con una leggera ammirazione «digitali nativi». Ma non sono spesso, senza averne colpa, più simili a «digitali ingenui»? È vero che hanno una certa facilità e con gli apparecchi digitali provano ogni sorta di cose – senza alcuna consapevolezza dei possibili rischi personali. Spesso cercano di colmare un vuoto di relazione nell'anonimato digitale (il che solleva un problema sociale!). Molti al minimo accenno di noia cercano subito un apparecchio elettronico. Un killer della creatività per eccellenza! Anche qui la mia collega mi ha dato un consiglio. Per dare al figlio un'introduzione alla programmazione e alle possibilità tecniche di oggi – che potrebbero essere utili per la sua futura carriera – gli ha regalato per il suo compleanno un mattoncino programmabile Lego Mindstorms per completare il suo set di costruzioni in metallo di Stokys. Questo non solo gli ha permesso di acquisire ulteriori competenze tecniche, ma gli ha anche permesso di fare la sua prima esperienza di robotica. Questo, tra l'altro, era anche un progetto comune di padre e figlio.  •


Le seguenti fonti e personalità mi hanno accompagnato in questo scritto:

(Traduzione Discorso libero)

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